Quelle bimbe negate sono un orrore moderno

di Massimo Introvigne

Il caso della donna uccisa in Afghanistan dal marito e dalla suocera per avere partorito per la terza volta una bambina invece dell’agognato figlio maschio è agghiacciante, ma non è isolato. I sociologi hanno coniato la parola «ginocidio» per indicare lo sterminio delle bambine da parte di famiglie che preferiscono i figli maschi. Si tratta di un dramma che è insieme antico e moderno. Certamente, in alcune società - dall’Oriente alle tribù amazzoniche - l’idea secondo cui una bambina «valga meno» di un maschio e che, specie in periodi di carestia o di crisi economica, possa essere eliminata ha radici molto antiche. A fronte di costi maggiori di quelli del maschio - specie dove, come avviene in India, ci si aspetta che al momento del matrimonio la moglie sia corredata da un’onerosa dote - si pensa che la bambina porti con sé minori benefici. La stessa piaga indiana - vietata ma non scomparsa - dell’immolazione delle vedove sulla pira funebre del marito nasconde, dietro motivazioni culturali e religiose, l’idea che una vedova costi molto e produca poco. E tuttavia il «ginocidio» è anche un fenomeno molto moderno. Da quando l’aborto è diventato relativamente sicuro e legale, e la diagnosi prenatale permette di conoscere con anticipo il sesso del nascituro, il metodo più diffuso per eliminare le bambine è abortirle. In Cina le bambine sono le grandi vittime delle leggi sul figlio unico. Per ogni centoventi o centotrenta maschi che nascono in Cina solo cento sono bambine, il che significa che milioni di ragazzi cinesi non troveranno mai una moglie cinese. La Cina risponde importando mogli dalla Siberia e perfino dalla poverissima Corea del Nord, ma le conseguenze sociali sono drammatiche. Lo stesso avviene in India: anche qui milioni di potenziali mogli mancano all’appello. Fin dal 1994 il governo ha adottato una legge intesa a scoraggiare l’uso della diagnosi prenatale per identificare le bambine che poi - a differenza dei maschietti - sono abortite, ma soltanto un centinaio di medici sono stati inquisiti. Nel 2009 è stata istituita una «Giornata della Bambina» per fare fronte a un fenomeno sempre più allarmante.
Sarebbe un errore ritenere che l’aborto sia un’alternativa all’infanticidio delle bambine. È il contrario. Le statistiche mostrano che l’uccisione delle bambine è a sua volta in aumento. In India una bambina su tredici non arriva a compiere sei anni, e non si tratta principalmente di malattie. Migliaia di bambine sono soffocate o annegate, e la loro morte è poi denunciata come un «incidente» sia in India sia in Cina. Alcune sono semplicemente abbandonate per strada. Altre non sono mai denunciate all’anagrafe, ma questo crea per loro una tragica situazione di «persone che non esistono», in balia di ogni possibile sfruttamento. Anche nelle modernissime grandi città cinesi le organizzazioni per i diritti umani fotografano spesso corpicini di bambine buttati nei rifiuti. E in India si va sempre più diffondendo la paradossale pratica di operare bambine piccole con la genitoplastica, la modificazione chirurgica degli apparati genitali da femminili a maschili: una modifica, evidentemente, solo esteriore e che creerà ogni sorta di problema alle bambine coinvolte. Nella sola città di Indore un’indagine governativa ha portato alla luce trecento operazioni di questo genere in un anno, e la protesta dei vescovi cattolici è arrivata fino alle pagine dell'Osservatore Romano.
Uccidere anche la madre «colpevole» di partorire solo figlie femmine è per fortuna - anche se non inedito - decisamente più raro.

Ma quando condanniamo - giustamente - queste «pratiche da Medioevo», non dovremmo dimenticare che nel Medioevo cristiano l’aborto e l’infanticidio erano rari. E che spesso è proprio l’idea moderna che si può «scegliere» il sesso del nascituro a incentivare il «ginocidio».

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