Quelle crocerossine «ante litteram» del Risorgimento

Le prime crocerossine? Furono le donne lombarde di Castiglione delle Stiviere, Brescia, Mantova e Milano, che dopo le battaglie di Solferino e San Martino assistettero i feriti. Dal loro gesto, lo svizzero Jean Henri Dunant ebbe l'ispirazione della Croce Rossa, eppure la generosità di queste protagoniste di pace è trascurata dalla storiografia ufficiale. E’ il polemico filo conduttore che, tra celebrazioni di pacifismo e di femminismo, percorre le pagine del libro di Roberto Albanese. Cinquantanove anni, funzionario di Educazione Ambientale alla Regione Lombardia, ha scritto «Il roseto della Pace - le donne lombarde nel 1859» (Il Cartiglio Mantovano, euro 18) e presentato ieri in sala Montanelli al Circolo della Stampa. Solferino, 24 giugno 1859. A sera, sul campo di battaglia dove si sono scontrati 300mila tra franco-piemontesi e austriaci, sono rimasti 30mila morti e 70mila feriti. E' la battaglia più sanguinosa del Risorgimento italiano e i corrispondenti del New York Times, del Journal de Genève, del London Times e del Journal de Touluse ne trasmettono i tremendi particolari ai loro lettori. Ma saranno proprio i giornalisti stranieri, dai cui articoli Albanese trae le proprie fonti, ad informare sulla spontanea mobilitazione umanitaria messa in atto dalle donne. Popolane, borghesi e nobili ospitarono nelle loro case decine di migliaia di feriti, senza badare alla loro uniforme: amici o nemici, in fondo «tutti fratelli». Lo stesso grido, «tutti fratelli», echeggiò nelle piazze di Castiglione delle Stiviere, a due passi dal lago di Garda, da cui partì la gara di assistenza per supplire alle deboli strutture sanitarie militari di allora. A Milano furono ricoverati 12mila tra francesi, italiani e austriaci, tra ospedali e case private. Altre migliaia furono trasferite a Brescia, Bergamo, Torino, Novara, Vercelli, Alessandria, in tutto il Mantovano e parte del Cremonese. Alcuni reduci furono così ben accolti dalle famiglie, che si dovette emettere una ordinanza e costringere quest’ultime a dichiarare i nomi degli «ospiti» alle autorità, per arginare le diserzioni. Il libro si fa un po’ travolgere dall'impennata lirico-pacifista e femminista, sposando la nota equazione («gli uomini fanno la guerra, le donne sono per la pace») fino a proporre progetti di animazione socio-culturale in «paesaggi della pace», da realizzare con la diffusione di «roseti» sul modello di quello di Cavriana a cui fa riferimento il titolo. Nella seconda parte, il saggio storico si trasforma in fantasioso romanzo con personaggi poveri di sfumature: i «buoni», disegnati secondo i canoni del più scontato pacifismo, e i «cattivi», grotteschi nel loro truce nazional-militarismo. Dal general Scovone (Govone nella realtà), al tenente Sbava Beccari (Bava Beccaris), fino all'anima candida del giornalista del Times, Lord Mainstone, che critica la repressione sabauda in Meridione.

Dimenticando cosa, in quegli anni, la Gran Bretagna combinava nelle colonie.

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