Quelle famiglie arse dall’odio senza più poesia

Marcello D’Orta

«Passan sul prato, nonno e nipotino / Il nonno è vecchio, il bimbo piccolino / Il bimbo è biondo, il nonno tutto bianco / Il bimbo è dritto, il nonno curvo e stanco / Passan sul prato, dandosi la mano / Il nonno dice: - Presto andrò lontano / molto lontano, e più non tornerò - / E il bimbo: “Nonno mio, ti scriverò!”» (Lina Schwarz).
«Non sempre il tempo la beltà cancella / o la sfioran le lacrime e gli affanni: / mia madre ha sessant’anni / e più la guardo e più mi sembra bella / Non ha un accento, un guardo, un riso, un atto / che non mi tocchi dolcemente il core; / ah, se fossi pittore / farei tutta la vita il suo ritratto! / Vorrei ritrarla quando inchina il viso / perch’io le baci la sua treccia bianca / O quando, inferma e stanca / nasconde il suo dolor sotto un sorriso / Pur, se fosse il mio prego / in ciel accolto / non chiederei di Raffael d’Urbino / il pennello divino / per coronar di gloria il suo bel volto: / vorrei poter cangiar vita con vita / darle tutto il vigor degli anni miei / veder me vecchio, e lei / dal sacrificio mio ringiovanita» (Edmondo De Amicis).
«Padre, se anche tu non fossi il mio / padre, se anche fossi a me un estraneo / per te stesso, egualmente t’amerei / Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno / che la prima viola sull’opposto / muro scopristi della tua finestra / e ce ne desti la novella allegro/(…) Padre, se anche tu non fossi il mio / padre, se anche fossi a me un estraneo / fra tutti quanti gli uomini già tanto / pel tuo cuore fanciullo t’amerei» (Camillo Sbarbaro).
Erano queste le poesie che studiavo da bambino (assieme a racconti come L’infermiere di Tata, Sangue romagnolo, Dagli Appennini alle Ande, Il piccolo scrivano fiorentino, tutte storie incentrate sull’amore verso i genitori o i nonni) e che ho insegnato fino al 1990. Sembrano mille anni fa. Oggi apro i giornali e leggo: «Diciannovenne ammazza la nonna per denaro, e perché lo chiamava “poco di buono”», «Uccide la nonna di 93 anni a martellate. Poi va a giocare ai videopoker», «Ruba la telecamera del padre e pretende 50 euro per restituirla», «Estorce soldi alla madre insieme a un complice», «Massacra il padre a pugni calci e bastonate, perché lo rimprovera per il volume troppo alto della tv», «Accoltella il padre ritenendo la paghetta troppo misera».
I fatti di sangue sono accaduti in Italia questa settimana o poco più in là; se, nel riportare notizie simili, avessi voluto partire da più lontano (per esempio dall’inizio del nuovo millennio) avremmo contato più morti (feriti, offesi, mutilati) che nella Prima guerra mondiale. Chi sta peggio di noi è la Spagna. E sta così peggio, che sono sorte scuole che insegnano ai genitori a difendersi dai figli.
Se l’individuo generato dall’accoppiamento sessuale di un uomo e una donna sembra non nutrire più verso i procreatori sentimenti deamicisiani, questi ultimi ricambiano senz’altro le attenzioni. Apro ancora una volta i famosi giornali e leggo: «Schiaffeggia la figlia perché disegnava cuoricini nella sabbia», «Picchia il figlio bocciato a scuola, il giudice lo condanna», «Bimba legata e uccisa a botte dal patrigno», «In coma per le botte del padre». Anche i nonni si danno da fare, ma non si comportano come quello di Heidi, piuttosto come La nonna del corsaro nero o Nonna Abelarda, che mena botte da Rambo. Lascio agli psicologi, i tuttologi e le guardie carcerarie le spiegazioni del caso. Mi limito a osservare che in seno alla famiglia qualcosa (molto, troppo) è cambiato. E se si va di questo passo, ci ritroveremo i caschi blu in casa.


mardorta@libero.it

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