Miracolo a Bologna: c’è una procura che finalmente indaga su un politico di centrosinistra alla stessa velocità con cui si applica agli altri. Fino a tre mesi fa l’inchiesta su Flavio Delbono aveva percorso non la corsia preferenziale, ma quella di decelerazione. Non soltanto l’ex vicepresidente della Regione Emilia Romagna non era indagato, ma addirittura il fascicolo era contro ignoti e stava per essere archiviato. Ora, in poche settimane, ecco spuntati viaggi-vacanza, bancomat sospetti, assunzioni di comodo, auto blu usate come quelle nel garage di casa.
I pm che hanno preso in mano le indagini dopo che il gip Giorgio Floridia ha ordinato un supplemento non procedono con le marce ridotte. Nemmeno accelerano, per la verità: per esempio, hanno sentito Delbono l’altro giorno, a un mese di distanza dal precedente interrogatorio. Ma era stato il sindaco dimissionario di Bologna a chiedere di dilatare i tempi. Voleva aspettare di essersi formalmente spogliato degli abiti di primo cittadino. Voleva che a Palazzo d’Accursio si fosse insediato il commissario prefettizio, in modo da potersi difendere in tutto e per tutto come un uomo qualunque, anche se si tratta sempre di soldi pubblici.
I magistrati l’hanno accontentato. E l’altro giorno, quando l’ex delfino di Romano Prodi è entrato nell’ufficio del pm Morena Plazzi al terzo piano del «palazzaccio» di piazza Trento e Trieste, ha trovato sul tavolo quello che mai avrebbe immaginato. La lettera strappalacrime che lui stesso aveva scritto a Cinzia Cracchi, la sua ex fidanzata, in cui le chiede di fare un passo indietro, di tacere, offrendole in cambio soldi e aiuto per il lavoro. «Adesso che siamo indagati tutti e due capisci che non posso rimetterti in Regione... Qui ci sono 5mila euro in contanti... Dopo te ne darò altri...». Cinzia, indignata, aveva stracciato il foglio davanti agli occhi di Delbono nel bar in cui si erano incontrati. Il sindaco credeva fosse sparito e poteva tranquillamente sostenere di non aver mai fatto pressioni. Invece lei più tardi aveva recuperato i brandelli di carta, li ha ricuciti e consegnati alla giustizia assieme alle dieci banconote da 500 euro.
Ora quella lettera è un pesantissimo elemento che incastra l’ex sindaco, costretto a lasciare la poltrona 48 ore dopo aver proclamato «non mi dimetterò mai». Ma ci sono altre carte autografe che i magistrati di qualche procura emiliana dovrebbero prendere in considerazione. Sono quelle portate alla luce dal Giornale la scorsa settimana: cinque agende sequestrate dai carabinieri di Comacchio a un ingegnere ravennate arrestato insieme a Giovanni Donigaglia, ex uomo-coop ed elemosiniere del Pci, in un’inchiesta per corruzione. In esse si fa più volte riferimento a un certo Vasco (cioè Vasco Errani, governatore dell’Emilia Romagna) associato a soldi, lavori pubblici e sospetti di affari illeciti («il 17 roba a Vasco», «roba piscina Vasco»). Queste agende dormono da anni in qualche cassetto di qualche procuratore. Hanno preso la via che stava per prendere anche il caso Delbono, cioè quella della giustizia a due velocità. La corsia di decelerazione, quella che conduce fuori dall’autostrada delle indagini.
C’è un giudice a Berlino, esclamò un contadino prussiano secoli fa - così almeno narra la leggenda - quando ottenne ragione in una lite contro il re di Prussia. Ora c’è un giudice anche a Bologna. Ma uno solo. Gli altri continuano ad applicare il «rito emiliano», quello in vigore dal dopoguerra. Sempre il Giornale ha scoperchiato lo scandalo del contributo dato da Errani alla cooperativa presieduta dal fratello Giovanni (coop agricola Terremerse), una faccenda piena di irregolarità e falsi. Ma non risulta ancora che qualche toga abbia deciso di fare luce sulla controversia.
In realtà, il «rito emiliano» viene applicato anche fuori dai confini della regione più rossa d’Europa. Se qualche vicenda giudiziaria sfiora un pubblico amministratore del centrosinistra, la regola è: calma, gesso e prudenza. Quando in mezzo finisce qualcuno del centrodestra, il fascicolo sale sull’alta velocità; altrimenti si procede con circospezione e guai alle fughe di notizie. Il governatore del Lazio Piero Marrazzo ha fornito versioni sempre discordanti delle vicende di cui era stato protagonista e la magistratura ha prudentemente preferito non iscriverlo tra gli indagati.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.