Quelli che dicono no al contratto discografico

Renato Zero, Pino Daniele, Pooh, Branduardi. Sempre più numerosi gli artisti che scelgono l’autoproduzione seguendo l’esempio dei big stranieri come Madonna. Ora tocca ai Nomadi: "L’industria non è più centrale"

Quelli che dicono no al contratto discografico

Bentornato al «fai da te». Detto così, ha un sapore artigianale che non è del tutto esatto, allora spieghiamo meglio: sempre più cantanti lasciano le major discografiche e tornano a essere imprenditori di loro stessi. Al pubblico forse (e per ora) interessa fino a un certo punto, ma la lista si allunga di giorno in giorno. Hanno iniziato gli stranieri, tanto per cambiare. I Simply Red da anni incidono per se stessi, Joe Cocker anche, Paul McCartney talvolta si appoggia a una piccola etichetta (la Concorde, distribuita Universal) e tutto il mondo ha parlato dei Radiohead che sono diventati autarchici dopo la promozione a megastar. Facciamola breve: l’artista, in forme e modi stabiliti volta per volta dai singoli contratti, sempre più spesso si mette in proprio assumendosi i rischi, pagando il copyright e anticipando i costi delle copie stampate. Anni fa sembrava impossibile. Oggi molto meno e, anzi, i flussi di mercato non esaltanti impongono una svolta. E molti si sono convertiti, giocoforza, al «ghe pensi mi». All’estero non ne parliamo. Ma anche in Italia non scherzano. Il primo, si sa, è stato Adriano Celentano con il Clan, e per tanti anni è rimasto l’unico anche se, dicono, con i vari accordi di distribuzione si è ampiamente protetto dai rischi. E il prossimo dovrebbe essere Pino Daniele che, scaduto il contratto con Universal, sta pensando di correre da solo. Nel frattempo lo hanno fatto, tra gli altri, Anna Oxa, Tiromancino, Paola e Chiara, Angelo Branduardi, i sempre più colossali Pooh e Renato Zero che ha fondato la propria casa discografica, la Tattica (intorno alla quale quale ruota anche Mario Biondi), e ha raggiunto un successo clamoroso che da solo vale una vita: con il cd Presente è stato in classifica 59 settimane consecutive, più di un anno, battendo addirittura il record di Zerofobia (58). Insomma, la svolta è epocale e, come sempre, dettata dal mercato. «I grandi artisti, e gli artisti che vogliono diventare grandi, hanno solo vantaggi a rimanere con una major perché la qualità e i servizi sono superiori, la capacità di intercettare gli sviluppi tecnologici è altissima e i pagamenti sono puntuali nel tempo», spiega il presidente della Emi, Marco Alboni, con la consueta lucidità strategica. Ma la questione resta aperta. Tanto per dire, negli Stati Uniti sia Madonna che Jay Z hanno lasciato scadere i loro megacontratti con le major per passare a Live Nation, colosso dei concerti. Però, a onor del vero, dopo averli firmati (si dice così, tra esperti), la Live Nation ha sostanzialmente trascurato la sezione, chiamiamola così, discografica. E il risultato è che Jay Z firma contratti di distribuzione «mirati» (l’ultimo con Warner). E Madonna ha pubblicato un solo disco, giudicato «minore» dagli esperti e pure dal mercato, attraverso la sua precedente casa discografica Warner. E adesso è in letargo.
In ogni caso, fino a pochi anni fa questo scenario sarebbe stato immaginabile e, comunque, conserva ancora contorni imprevedibili soprattutto per quanto riguarda il lato digitale. Ma è ormai irrinunciabile. E mentre all’estero la diaspora continua, in Italia il cambiamento è per ora segnato da tappe simboliche. Una di queste è stata senza dubbio appena definita dai Nomadi, una delle band più longeve del mondo, qualcosa tipo 48 anni di carriera, che con questo nuovo disco Cuorevivo (uscito ieri) diventano imprenditori di loro stessi. I Nomadi. Quelli di Dio è morto, scritta da un Guccini ispirato dall’Urlo di Allen Ginsberg e promossa pure da un Papa (Paolo VI). Hanno lasciato terminare il contratto con la Warner, hanno fondato la Segnali Caotici e si fanno distribuire sul mercato dalla rampante Artist First di Claudio Ferrante (al lavoro anche con i Pooh). Per loro, che hanno un incredibile seguito di pubblico, è stata una scelta quasi obbligata. Esattamente come accadeva anni e anni fa, i Nomadi vendono tanti dischi durante i loro concerti. Ma tanti sul serio. E fanno concerti in continuazione, in ogni luogo, di fronte ai pubblici più diversi. C’è gente, - come spiegava ieri il leader Beppe Carletti - «che fa le vacanze seguendo i nostri concerti tappa dopo tappa».

Perciò sapete cosa è successo in questi anni? Che spesso i Nomadi hanno venduto più dischi, molti di più, di tanti altri artisti che però sono finiti in classifica con tutti gli onori del caso. Adesso punto e a capo: i Nomadi, dopo quasi mezzo secolo, ricominciano di nuovo. Un segnale che, partendo dai colossi americani per arrivare fino al nostro gruppo più caparbio e credibile, non può passare inosservato.

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