C'è una cosa che dobbiamo a Silvio Sircana e ai nostri lettori: dire - anzi, ripetere - che in quelle famigerate fotografie non c’è nulla di cui il portavoce del governo debba davvero vergognarsi. Per essere concreti: nulla che giustifichi una lettera di dimissioni. Né da Prodi, né dalla moglie.
I nostri lettori non possono sapere. Quelle foto non le hanno viste. Ma noi sì. Ce le abbiamo. Non le abbiamo pubblicate, non potremmo farlo neanche se volessimo perché il signor Garante, che su Vallettopoli si è svegliato solo l’altro ieri, ci sbatterebbe in galera.
Noi avevamo deciso anche di non rivelare di averle, quelle foto. Ieri siamo stati costretti a farlo, perché ci stavano facendo passare per dei bugiardi. O perlomeno per dei fessi. Dicevano: di quelle foto si parla in un’intercettazione telefonica, ma non c’è la prova che esistano, anzi il fotografo che al telefono diceva di averle scattate ha ritrattato: quelli del Giornale hanno pubblicato una notizia senza verificarla, comportamento grave, gravissimo.
Ecco perché siamo stati costretti a dire che quelle foto noi le abbiamo, e ad aggiungere che non le possiamo pubblicare perché un nuovo decreto ad hoc ce lo impedisce.
Però, così facendo, si corre un rischio. Quello di far immaginare ai lettori che in quelle immagini ci possa essere chissà cosa. Terribile, per Sircana. E allora, visto che quelle foto non ve le possiamo mostrare, cerco di descriverle adesso.
Quattro scatti su cinque sono del tutto banali, insignificanti. Si vede Sircana che entra ed esce da un ristorante, dove cena con una signora: cena davanti a tutti, quindi nessun incontro clandestino. Il quinto scatto è quello che ha fatto pensare al paparazzo di avere vinto un terno al lotto. Si vede l’auto di Sircana ferma (le luci dello stop sono accese) di fianco a un transessuale - o a un travestito: chiedo perdono, ma di più non posso né voglio sapere - che sta sul marciapiedi. Sircana lo si vede di spalle, è piegato verso il finestrino destro, sicuramente sta guardando il transessuale, forse gli sta dicendo qualcosa.
Ma è tutto qui.
C’è qualcosa di grave? Alzi la mano chi non ha mai guardato una battona - maschio o femmina che sia - per strada. Alzi la mano oppure scagli la prima pietra.
Quando, la sera di martedì, il nostro Vittorio Macioce ha telefonato a Sircana per avvertirlo di ciò che stava per essere pubblicato, a lui è venuto un mezzo colpo. Balbettava: «Ma io non ho fatto niente di male». Mentiva? Non ci sono elementi per sostenerlo. Anzi, ce ne è uno che rende Sircana credibile.
Il paparazzo, infatti, al telefono dice: stasera l’ho visto mentre si fermava di fianco a un transessuale, uno che fa queste cose una volta le fa sempre, domani comincio a pedinarlo.
Insomma, il fotografo pensava di procurarsi immagini ben più imbarazzanti: che so, vuoi vedere che la prossima volta il trans lo fa salire in macchina? Invece, niente.
Qualcuno obietterà: ma se le foto non documentano nulla di ignobile, perché avete sollevato un simile pandemonio? Lo so che qualcuno mi accuserà di ipocrisia, ma la verità, come abbiamo scritto fin dal primo giorno, è che la notizia non era la passeggiata notturna di Sircana, ma il fatto che il portavoce del presidente del Consiglio era pedinato e fotografato di nascosto per essere poi ricattato.
Immagino come stia vivendo Sircana questi giorni e queste notti. «Che cosa dirò a mia moglie e ai miei figli?», ha detto a Macioce. Non lo conosco, non l’ho mai visto: ma un uomo così, un uomo che all’improvviso si sente più fragile di un bambino, ha tutta la mia solidarietà. Mi si creda o no, non me ne frega niente.
Se verrà fuori che Sircana non ci ha detto tutta la verità, gliene chiederemo conto. Ma se i fatti sono solo questi, non si deve dimettere.
Altri dovrebbero farlo: quelli che, mentendo, ci hanno accusati di esserci inventati le foto e il tentativo di ricatto; e quelli che distinguono tra intercettazioni che fanno comodo e intercettazioni sconvenienti, tra cittadini degni di tutela e troiette da indicare al pubblico ludibrio. Questo è il vero scandalo, altro che uno sguardo verso un marciapiedi.
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