Roma - Ma che succede al gruppo dirigente dei Ds? A Gavino Angius lo psicodramma fa venire in mente l’epopea di Apollo 13, e il terribile messaggio lanciato dagli spazi siderali, a 321.860 chilometri dalla Terra, dopo l’esplosione di un serbatoio d’ossigeno. «Houston, ci sentite, abbiamo un problema qui... », gracchiò la voce del comandante Jim Lovell. Come quella missione che rinunciò all’allunaggio, «eravamo partiti per una grande impresa, l’equipaggio era ottimo, però la navicella, i Ds, sono ammaccati... Il problema sarà ora tornare a terra, perché altrimenti rischiamo di dissolverci nello spazio».
È quanto sta avvenendo. Con qualche settimana d’anticipo e nel modo peggiore. Il nervosismo di capitan-Fassino non sembra giustificato come la concitazione del comandante Lovell. Fa venire in mente, piuttosto, il riflesso condizionato del dottor Stranamore di Kubrick, che di democratico aveva poco, e molto invece di autoritarismo dogmatico. Non a caso la luogotenente di Fassino, Marina Sereni, accusa Mussi di aver pronunciato «parole lontane dalla nostra tradizione». La critica politica allo stato di dissoluzione dei Ds - responsabilità del segretario, altrimenti di chi? - fatta da Mussi viene così bollata come «inaccettabile, grave, sbagliata». «Parole che suonano come una scomunica», lamenta Fulvia Bandoli. Una torma di caporali e sergenti, nomi sconosciuti a chi non è di casa nel Botteghino, scende in campo dopo Migliavacca: Sereni e Manciulli, Orlando e Filippeschi (sorretti dai «vecchi» Bettini e Latorre). Si tratta della generazione di quarantenni cooptati dal gruppo dirigente, genere «ditegli sempre di sì» (a Fassino). Più che rispondere nel merito politico, gridano alla «lesa maestà», accusano la sinistra di «voler andare con Rifondazione».
Parole con poco costrutto. «Delirium tremens di giovani dirigenti», stuzzicano gli uomini della sinistra ds. Fuoco di fila che fa da preludio alla mite risposta del leader, anch’essa in puro stile Pci: «Il clima nervoso non è utile, le intemperanze smettano, credo che le parole di Mussi siano andate al di là del suo pensiero...». Frasario di stile sovietico, si direbbe: il compagno Mussi non sa quel che dice, più avanti lo convinceremo a fare autocritica... La replica arriva da Bologna, proprio la roccaforte sofferente nella quale la deputata Katia Zanotti ha denunciato di essere vittima di «intimidazioni» da parte di esponenti della maggioranza, finendo per essere bollata dal segretario come «mentitrice».
L’onorabilità della Zanotti ieri è stata difesa da Mussi, che ne ha approfittato per ribadire che la sua «non è voglia di scissione, io voglio restare dove sto», mentre è il Pd «a essere un passo fuori, a volere eliminare dall’Italia una grande forza di ispirazione socialista». Più che un partito, spiega, «il Pd sarà un grande recinto, un comitato elettorale che al primo insuccesso piegherà le gambe». Considerata la scuola da rigido «centralismo democratico» delle repliche fassiniane, anche ad Angius la Quercia attuale sembra «una caserma nella quale si deve tacere e obbedire».
Eppure il leader dovrebbe rispondere del proprio operato. «Un gruppo dirigente che teorizza il Pd perché i Ds non ce l’hanno fatta, e poi si offende perché gli si chiede conto dell’insuccesso, è schizofrenico... », dice Gloria Buffo.
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