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Ma questa batosta è da dilettanti

L a marea nera ci ha spazzato via. Inevitabilmente. Ma questa volta ci ha fatto più male del solito perché, da un’Italia che vuol farsi notare in questo mondiale, ci si poteva aspettare una resistenza un po’ più onorevole. Per carità, gli All Blacks erano e restano di un altro pianeta, e lo confermeranno nel corso del torneo. Ma noi non riusciamo a schiodarci da queste scoppole tremende: avevamo preso 70 punti dalla Nuova Zelanda vent’anni fa nel primo mondiale e 76 ne abbiamo presi ieri a Marsiglia. È cambiato il «peso» delle mete (da 4 a 5 punti), ma il bilancio è praticamente identico. Allora infatti eravamo andati ai mondiali con una squadra di coraggiosi dilettanti affidata allo spirito guascone di Marco Bollesan, oggi ci presentiamo con fior di professionisti prestati in giro per l’Europa alle migliori squadre e ai campionati più prestigiosi. Possibile che il risultato sia sempre lo stesso?
Usciamo per una volta dalla retorica che sta inzuppando anche questa spedizione. Il rugby è uno sport di sani principi, e nessuno farà mai drammi per una sconfitta. Il popolo azzurro calato su Marsiglia ha applaudito Troncon e compagni fino in fondo, ed è giusto che sia così. Ma sinceramente non possiamo associarci agli amici che urlano «grande Italia» in tv solo perché recuperiamo un pallone da una mischia quando siamo sotto per 38-0 dopo appena venti minuti di partita. Una partita, non dimentichiamoci, durata 1’07’’, il tempo necessario ai neozelandesi per rompere lo 0-0. Ci vuole un po’ di misura, quella che ha avuto almeno Pierre Berbizier quando abbiamo segnato la prima meta (sul 43-0...) e il ct è stato l’unico a restare seduto impassibile. Quella che hanno avuto onestamente i giocatori a fine gara, parlando di giornata da dimenticare.
Non è bello vedere che i nostri cugini argentini, nonostante il saccheggio continuo di giocatori subito proprio da noi (anche ai mondiali francesi abbiamo ben 6 azzurri nati da quelle parti), trovano la forza per crescere e arrivare addirittura a battere la Francia nella partita inaugurale, mentre noi facciamo subito la figura del materasso, come un Giappone qualsiasi.
Non resta che concentrarci sulla Scozia, la sfida chiave che può dare una nuova dimensione al nostro rugby.

Quella di una nazionale che può cercare anche i risultati, non solo la simpatia di chi scopre il rugby una o due volte all’anno.

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