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Quindici anni di fango, ma il Cavaliere si rialza sempre

Nel '94 l'avviso di garanzia al G8 di Napoli e molti profetizzarono: "E' già finito politicamente". Quando affrontò la "traversata nel deserto" molti alleati sognarono di prendere il suo posto

«Sono passati quindici anni e non è cambiato nulla». Lo sfogo del Cavaliere è di qualche giorno fa, all’indomani della pubblicazione della sentenza Mills. In piena campagna elettorale, come già accaduto tante altre volte, e alla vigilia del G8 che si aprirà i primi di luglio a L’Aquila. Con la mente Berlusconi non poteva non ritornare al 1994, l’anno della sua discesa in campo, ma pure quello del suo primo governo e della sua prima caduta. Propiziata - guarda un po’ - dall’avviso di garanzia che gli recapitò a mezzo stampa il Corriere della Sera proprio mentre presiedeva a Napoli il vertice Onu sulla criminalità organizzata.
Insomma, passati quindici anni il copione non cambia. Perché seppur con qualche variante più o meno gossippara, l’unica strada che il centrosinistra non ha mai preso davvero in considerazione per cercare di disarcionare il Cavaliere è stata quella della politica. La via giudiziaria, invece, è stata decisamente la più battuta di questi anni. D’altra parte, se nel 1994 il «siluro» aveva colpito il bersaglio non era del tutto folle immaginare un bis. E invece quella strada è andata via via sfumando, non tanto per il discusso e dibattuto lodo Alfano quanto perché nel tempo la magistratura ha dimostrato di non essere propriamente terza nei confronti di Berlusconi. Per dirne una, il processo che aveva dato il la alla caduta del ’94 (tangenti alla Guardia di finanza) si era risolto in Cassazione nel 2001 con una assoluzione nel merito (per non aver commesso il fatto). Nel frattempo, però, c’era stato spazio per un altro tentativo, sempre seguendo lo stesso copione. Nel ’96, infatti, compare sulla scena l’Ariosto, compagna di Dotti nonché già da una anno «teste Omega» della procura di Milano. Sono le sue rivelazioni a far esplodere il caso Squillante e dare il via al processo Sme a meno di un mese dalle elezioni politiche. Risultato: Prodi va a Palazzo Chigi e solo anni dopo Berlusconi sarà assolto (ancora nel merito). Ci sta, a questo punto, che la via giudiziaria inizi a scricchiolare.
Merito anche del Cavaliere che, gli va dato atto, a tutto è disposto fuorché cedere il passo. Lo davano per morto dopo la caduta del ’94, per spacciato all’inizio di quella che lui ricorda come «la traversata nel deserto» nel ’96, e per finito prima delle elezioni del 2006. Sempre la stessa storia. «Non è un politico», sentenziarono tutti dopo che Bossi tolse il suo appoggio al governo. «Cinque anni di opposizione lo sfiancheranno», ribadirono dopo la prima vittoria di Prodi. E pure gli alleati iniziarono a sfilarsi prima e dopo le politiche del 2006. Con Casini che mandava avanti Follini e già disegnava il dopo-Berlusconi facendosi beffe dei sondaggi del Cavaliere che pronosticavano un testa a testa. Incassato un quasi-pareggio praticamente in solitaria, fu il turno di Fini. Che come molti altri nel centrodestra non ha mai dato troppo credito alla possibile spallata invocata a più riprese da Berlusconi. La battuta sulle «comiche finali», il predellino in San Babila e la nascita del Pdl è storia dei giorni nostri. A testimoniare che l’unico errore che non bisogna fare con Berlusconi è darlo per spacciato, perché è proprio nei momenti di maggiore difficoltà che ha dimostrato di diventare più micidiale che mai. Certo, magari prendendosi periodi di riflessione più o meno lunghi, come accadde dopo la vittoria sul filo di lana di Prodi seguita da mesi che furono nerissimi. Ma comunque riuscendo alla fine a ribaltare il tavolo.
Fallita anche la via dei salotti buoni - dove alla fine è riuscito a mettere piede nonostante gli Agnelli, i Cuccia e i Bazoli - si arriva all’ultimo mese di campagna elettorale. Dallo tsunami Veronica al caso Noemi, passando per la querelle sui voli di Stato e sulle foto a Villa Certosa. Un raffica che avrebbe steso chiunque, ma alla quale il premier pare reggere. Certo, il colpo l’ha sentito. Ma è paradossale che si stia a disquisire su quale sia l’asticella sotto la quale il Pdl non può andare. Perché la differenza non la farà stare sopra o sotto il 40%, una soglia soprattutto psicologica. Ciò che davvero conta è superare il 37,4% delle ultime politiche dopo un anno di governo in tempo di crisi e un mese di assedio mediatico.

Con il Pd che per quanto potrà andare bene resterà sempre 10-12 punti sotto il Pdl. Alla fine, insomma, Berlusconi resterà ancora una volta in piedi. Con buona pace anche di quegli alleati che nei giorni scorsi hanno preferito defilarsi piuttosto che prendere le sue difese.

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