Le «quote rosa» sono un’offesa a tutte le donne

Egregio dottor Granzotto, leggo sempre le sue risposte e perciò ritengo che anche lei concordi nel ritenere che il ministero delle Pari opportunità e tutte le associazioni, tutti i comitati o altro che si occupano dello stesso problema costituiscano non solo un dispendio di danaro e burocrazia, ma soprattutto un’umiliazione per le donne. Ho iniziato la professione di avvocato a Cagliari nel ’53. All’epoca magistrati, cancellieri, segretari e tutto il personale degli uffici giudiziari era composto da soli uomini. Tranne io e altre due colleghe, tutti gli avvocati erano uomini. Ho iniziato la professione senza difficoltà di sorta. Tutte e tre siamo state accolte in un ambiente esclusivamente maschile con la massima naturalezza. Attualmente la situazione si è grandemente capovolta e predomina nei palazzi di giustizia in maniera massiccia l’elemento femminile. Pertanto detto ministero umilia le donne considerate alla stregua o quasi di mentecatte che non sanno difendersi e chiedono protezione e aiuti. Quasi bambini che aspettano dagli adulti lo zuccherino. È d’accordo con me?
Cagliari

Perbacco! Certo che sono d’accordo con lei, gentile lettrice. D’accordissimo. Nutro stima e ammirazione per il presidente del Consiglio, rispetto per il ministro Maria Rosaria Carfagna detta Mara, ma mantenere in vita quel ministero delle Pari opportunità che vide la luce col governo Prodi mi pare proprio una cattiva (e ridicola) idea. Pessima poi e grandemente offensiva per le donne, quella trovata delle «quote rosa» in un Paese come il nostro dove l’elettorato femminile è soverchiante, ma elegge un Parlamento a preponderanza maschile. Segno che pur avendo il coltello dalla parte del manico le donne scelgono, assai saggiamente, di essere rappresentate da chi più ispira loro fiducia, indipendentemente dal sesso d’appartenenza. Un ministero delle Pari opportunità (e la pletora di organismi similari, il Dipartimento pari opportunità, la Commissione nazionale pari opportunità, il Comitato nazionale di parità, le Commissioni di parità e il Consigliere - o la Consigliera, va da sé - nazionale di parità) è solo un oneroso omaggio alle smancerie e ai birignao della political correctness. Fuffa. Fuffa generatrice di ingiustizie e di umiliazioni nei confronti di coloro ai quali, vaneggiando, intenderebbe render giustizia. In America, dove imperano quelle «quote» poi da noi adottate, da tempo è in corso un moto di generale ribellione alle affermative actions, lo strumento politico ideato da Kennedy per stabilire princìpi di equità che tengano conto, privilegiandole, delle differenze sessuali, etniche, razziali e sociali «discriminate». Una buona intenzione che ha finito per lastricare la via dell’inferno, perché le affermative actions si sono rivelate a loro volta discriminanti (si negano posti di lavori a candidati preparati e meritevoli a favore di altri meno validi che però appartengono alle categorie protette). Di contro, il «protetto», donna o nero o gay che sia, non potrà mai compiacersi d’essersi guadagnato un posto o una laurea per i propri meriti e non grazie alla spintarella dell’affermative action. Resta poi l’umiliazione, alla quale lei, gentile lettrice, fa riferimento, di sentirsi trattati al pari di mentecatti (e mentecatte) bisognosi di assistenza o proprio di protezione, di panda da tutelare in speciali riserve faunistiche.

Carfagna, Mara Carfagna, saprà mai se è stata piazzata al ministero delle Pari opportunità perché brava o se perché donna? E di contro, riuscirà mai ad allontanare da sé il dubbio d’aver avuto l’investitura perché il ministero delle Pari opportunità è una baggianata e quindi vanto valeva darlo a una donna?

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