Il quotidiano dei vescovi contro Fini «Sulla Ru486 parole superficiali»

RomaChiarissimo era stato Gianfranco Fini, nel trovare del tutto «originale» il dibattito parlamentare sul farmaco della discordia, la pillola abortiva Ru486. «Ognuno può avere le sue opinioni, anch’io ho la mia - aveva ben scandito il presidente della Camera -, ma non vedo che cosa c’entri il Parlamento quando nel settore ci sono già le linee guida del governo e le pronunce dell’Agenzia del farmaco...».
Il fronte antiabortista ha incassato, ma certo non demorde. Ora preme perché il dibattito, rifiutato dal presidente della Camera, faccia breccia almeno in Senato. Forte dell’appoggio influente del presidente emerito Francesco Cossiga che ieri ha tuonato contro il niet finiano e rilanciato una propria interpellanza che intende proibire del tutto l’uso della pillola abortiva. Si fa avanti, con un corsivo vibrante di sdegno, anche il quotidiano dei vescovi, Avvenire. Il breve commento viene inserito nelle pagine interne, non in prima, forse per non rendere del tutto «esplosiva» la presa di distanze della Chiesa. Scelta tattica abbastanza inutile, visto l’intento fortemente polemico fin dalla titolazione («Bufera su Fini. La salute dei cittadini è estranea alla Camera?»).
L’incipit del corsivetto è in diretta risposta alla terza carica dello Stato. «Di che cosa si occupa il Parlamento? Vi siedono i nostri rappresentanti, ci si aspetta che prendano a cuore quanto ci riguarda più da vicino. E l’aborto? No, quello no, escluso. Anzi è “originale pretendere” che le Camere possano discuterne. È la sorprendente battuta alla quale, con fare liquidatorio, l’onorevole (non presidente, sic) Gianfranco Fini ha fatto ricorso per archiviare - secondo lui - l’ipotesi di un confronto parlamentare sulla Ru486». L’attacco a Fini è senza precedenti: l’espressione da lui usata, dice Avvenire, «lascia stupefatti». L’anonimo corsivista spiega come la pillola antiabortiva non sia un «semplice farmaco» tipo aspirina o sciroppo, bensì «intervenga pesantemente nel modo in cui viene applicata la legge sull’aborto in Italia. E le Camere non si dovrebbero pronunciare?». La conclusione del quotidiano della Cei è tranchant, le parole di Fini bocciate su tutta la linea: «Ci sarebbe piaciuto fossero meno superficiali».
La scelta del quotidiano dei vescovi rafforza i settori della maggioranza capitanati da Gasparri che anche ieri ha insistito sulla possibilità di un «approfondimento in Senato», perché «non dobbiamo fare i farmacisti ma capire come questo farmaco verrebbe somministrato eludendo le norme vigenti». All’ex amico colonnello di An ha risposto Adolfo Urso, oggi viceministro dello Sviluppo economico: «La posizione di Fini è dettata da buon senso, non è opportuno alimentare ulteriori contrapposizioni sulle questioni etiche, ma semmai trovare le necessarie convergenze anche in Parlamento...».

Così il repubblicano Francesco Nucara poteva accogliere con uguale favore le parole di Fini: «Consola sapere che le istituzioni possono contare sul buon senso del presidente della Camera». Anche perché, sospirava Nucara, un’«inchiesta farmacologica del Parlamento sarebbe del tutto ridicola».

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