La rabbia degli operai: scontri e feriti

La rabbia degli operai: scontri e feriti

(...) il sindaco, Marta Vincenzi. Si mette in testa al corteo e sfoggia la sua fascia tricolore. Insieme ai lavoratori, ci sono anche le delegazioni sindacali delle altre fabbriche del capoluogo ligure, in segno di solidarietà. Mentre a Levante, dopo un’assemblea rovente, 800 operai decidono di lasciare la fabbrica di Riva Trigoso e di scendere anche loro in piazza verso il centro di Sestri Levante. Stessa motivazione, stessa rabbia.
I manifestanti attraversano la città, sfilano sotto il ponte di Cornigliano e lungo la Soprelevata. La meta è la Prefettura di Genova, è questo l’obiettivo della marcia dei cinquecento: il palazzo simbolo del governo contro cui gridare le proprie rivendicazioni e chiedere un incontro con il prefetto affinché si convochi al più presto un vertice a Roma per ridiscutere il piano dell’azienda. Ma la tensione è alta e basta un attimo perché esploda.
Sono quasi le undici quando i lavoratori della Fincantieri arrivano in via Roma, un gruppetto si stacca dalla pancia della manifestazione e cerca di sfondare il cordone della polizia in tenuta antisommossa. Vogliono entrare dentro, volano insulti contro l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, poi fumogeni e oggetti vari e manganellate. Le forze dell’ordine respingono i manifestanti, si riparano dietro con gli scudi dal lancio di bottiglie di plastica e pietre. Mentre alcuni operai rovesciano un cassonetto dell’immondizia davanti al portone e tirano la spazzatura contro gli agenti. Negli scontri restano feriti due operai con contusioni alla testa e sei poliziotti, il più grave ha un trauma alla mano. «Abbiamo ricevuto l’attenzione dello Stato», commenta amaramente uno dei manifestanti.
Mentre all’interno del palazzo ci sono il sindaco, il presidente della Regione, Claudio Burlando, con il presidente del Consiglio regionale Rosario Monteleone e tutta la giunta regionale a discutere con il prefetto. Da dentro si sentono le grida dei lavoratori: «Lavoro, vergogna!», urlano.
«Vogliamo incontrare il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non ministri finti. Finché non riceveremo una data certa resteremo qui». Bruno Manganaro della Fiom ligure parla al termine dell’incontro con il prefetto Musolino. «Ci hanno dato tutti ragione - dice -. Dal prefetto al presidente della Regione, al sindaco. Poi ci hanno fatto parlare con il ministro Romani, che ci ha detto “dovete fidarvi, non si chiude niente”. Noi invece non ci possiamo fidare, vogliamo una data certa, di un incontro ai massimi livelli». Basta un fax, un banale pezzo di carta per poter credere a questo appuntamento, giura Manganaro e così accade.
Qualche ora dopo, dopo gli scontri e i feriti, arriva la conferma di un vertice a Roma per il 3 giugno al ministero dello Sviluppo economico con il governo e l’ad di Fincantieri. Un incontro al quale, rivelano fonti sindacali, dovrebbe essere presente anche il ministro Tremonti. «Abbiamo finalmente avuto la convocazione» spiega Manganaro leggendo al corteo la mail che preannuncia la riunione. E basta poche righe per sciogliere la protesta e il presidio. Alle quattro gli operai tornano verso il cantieri di Sestri Ponente.
Ma lo sciopero continua. Oggi ci sarà una riunione per stabilire i tempi e le modalità per continuare la protesta. Nel pomeriggio, i lavoratori andranno in Regione al vertice convocato da Burlando dove ci sarà anche una delegazione di Riva Trigoso. «Poi aspetteremo il 3 giugno, non garantendo però la produttività, perché è difficile lavorare con una pistola alla tempia. Nel frattempo ribadiremo con forza al governo che il tre giugno vogliamo avere come interlocutori il ministro Tremonti o il sottosegretario Letta».
E mentre nella Superba i lavoratori tornano allo stabilimento, dall’Italia arrivano altre notizie di scontri e devastazioni.

Nel municipio di Castellamare di Stabia (Napoli), dove Fincantieri ha annunciato la chiusura del cantiere, i simboli dell’Unità d’Italia, i busti in marmo di Garibaldi e Vittorio Emanuele custoditi a Palazzo Farnese sono finiti in pezzi. La rabbia degli operai risparmia solo il crocifisso e il quadro del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

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