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La rabbia dei familiari: Roma non ha fatto abbastanza

«Il governo italiano non si è impegnato a fondo per salvare Adjmal, come hanno fatto con il vostro collega giornalista. Per questo motivo il mio fraterno amico è stato brutalmente assassinato». Non ha peli sulla lingua, Zia, abiti occidentali, fuoristrada da gente che conta, che quasi non vuole rispondere alla telefonata de il Giornale. Lavoriamo per una testata italiana, del Paese che, secondo lui e molti afghani, ha abbandonato Adjmal Nashkbandi, l’interprete del giornalista di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, al suo ingrato destino. Zia è l’amico che parla inglese e fin dalle prime ore si è sempre speso, al fianco alla famiglia e davanti alle telecamere, in appelli e prese di posizione per far liberare il suo amico. «Adjmal si è appena sposato, ma non scrivetelo fino a quando l’avremo riabbracciato», ci aveva detto a Kabul all’inizio dell’incubo.
«La vita di uno straniero è evidentemente più importante di quella di un afghano, un musulmano, un uomo in buona fede», rincara la dose Ahmad Massoud, il cugino di Adjmal, che se la prende soprattutto con il governo di Hamid Karzai, il presidente afghano.
La famiglia dell’interprete e giornalista decapitato è chiusa nel dolore, ma qualche dichiarazione, a denti stretti, trapela. «Il tempo delle interviste è passato e adesso che ho perso mio fratello – spiega a il Giornale Munir Nashkbandi -, la nostra famiglia è distrutta. Fra chi ha ucciso Adjmal e il governo afghano non vediamo grande differenza, perché nessuno si è veramente dato da fare per la sua liberazione. Ora lasciateci in pace, lasciateci al nostro lutto...».
Munir, in realtà, deve risolvere un ultimo problema e ha lanciato un appello al governo afghano o chiunque possa aiutarlo: «Vogliamo il corpo di mio fratello. Non avere la salma per seppellirlo è angosciante. Nostra madre ha avuto un infarto e ora è in ospedale, mentre mio padre non è in sé. Mio fratello ha lavorato molte volte con Daniele (Mastrogiacomo, ndr). Non riusciamo a capire perché chi ha trattato la liberazione del giornalista italiano, non abbia preteso il rilascio anche di mio fratello. Qualcuno è responsabile di questa tragedia».
Ancora più duro Mohammed Dawood, il fratello di Sayed Agha, l’autista dell’inviato di Repubblica, il terzo ostaggio, decapitato per primo. «Siamo addolorati per la morte di Adjmal, come per quella di Sayed Agha. Mi sembra chiaro che gli afghani sono povera gente, che possono pure morire e nessuno se ne preoccupa», dice Dawood facendo capire che non sarà un caso se si è salvato solo l’italiano.
La stampa afghana è scatenata sul tragico epilogo della vicenda. Cheraghe, uno dei giornali di Kabul, ha pubblicato un editoriale dai toni molto duri: «Signor Karzai senza dubbio è riuscito a salvare il governo italiano dalla crisi.

Purtroppo, però, non è stato in grado di salvare la vita di un afghano, di qualcuno che aveva votato per lei».
(ha collaborato

Bahram Rahman)

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