Racket degli alloggi, spari contro il chiosco di Manzi

Dopo l'inchiesta del "Giornale".  Minacce telefoniche al presidente di «Sos Usura»: aveva denunciato il clan dei quartieri-ghetto milanesi

«Dite a Manzi che è un uomo morto». La telefonata in dialetto siciliano arriva martedì mattina al negozio di fiori gestito dal presidente dell’associazione Sos Racket e usura. Frediano Manzi, appunto. Lui in quel momento non c’è e non può rispondere, lo fanno i suoi dipendenti. Passano dodici ore e contro la saracinesca di quel chiosco nell’hinterland milanese vengono esplosi cinque colpi di pistola, in piena notte. Cinque fori e un foglio appeso all’ingresso per ricordare che certe cose è meglio non farle. Che certi sgarri, poi si pagano a caro, carissimo prezzo. «Questo è un avvertimento, la prossima volta tocca a te e alla tua famiglia», c’è scritto sul pezzo di carta. È un attentato quello dell’altra notte, senza mezzi termini. Un’intimidazione contro Frediano Manzi, «colpevole» di aver denunciato il racket delle occupazioni abusive nei quartieri popolari di Milano. «Colpevole» di aver inchiodato con un video la famosa signora Gabetti che per piazzare gli abusivi negli alloggi chiedeva il pizzo. «Colpevole» di aver portato allo scoperto con un’inchiesta pubblicata su questo giornale, l’esistenza di clan di malavitosi che gestiscono le attività illegali nei quartieri ghetto della città. In fondo glielo avevano fatto capire già quindici giorni fa che aveva superato il limite: quattro chiamate anonime in cui uno sconosciuto chiedeva di indirizzare un mazzo di fiori con biglietto minaccioso alla figlia. Poi gli striscioni appesi prima fuori dai palazzi di via Padre Luigi Monti, a Niguarda, la via del racket e quindi sulle inferriate di Palazzo Marino durante il presidio di abusivi e scuole civiche. «Quello che sta succedendo su questa vicenda, è un insulto alla città e alle persone per bene. La politica ha il dovere di intervenire in modo netto e chiaro. I quartieri devono essere liberati. Le istituzioni devono essere presenti». Manzi ha un filo di voce e continua a chiedersi come si sia potuti arrivare a tanto. «Si sentono franare il terreno da sotto i piedi - ripete -. Sono giorni che sento che il clima sta degenerando, sono giorni che stiamo dicendo che in quei quartieri sta arrivando gente da fuori». Già gente da fuori. «Quanto vuoi che ci mettano a dare 500 euro a qualche scagnozzo per sparare cinque colpi?». La notizia rimbalza in pochi minuti sulle agenzie di stampa e nel giro di mezzora arrivano i primi comunicati di solidarietà al presidente dell’antiracket. Dall’assessore comunale Verga che parla di un «episodio drammatico, da condannare con l’aiuto delle forze dell’ordine». L’assessore regionale Maullu chiede al prefetto una scorta per Manzi, Roberto Caputo del Pd invece gli vuole dare il premio Isimbardi. Le indagini sull’attentato passano alla Squadra mobile, sotto il coordinamento del pm Sangermano che già si occupa dell’inchiesta sul racket e domani mattina la commissione sicurezza verrà convocata in via Padre Luigi Monti.

«Devono rendersi conto in che ghetto li hanno confinati», sussurra Manzi. Giura di non aver paura e chissà come fa a non averne. «Sono solo preoccupato per la mia famiglia e di non riuscire più a stare in mezzo alla gente». Da cittadino libero.

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