RADIGUET Il vecchio ragazzo amico del diavolo

«Non capisco perché qualcuno si sorprenda del fatto che ho pubblicato un libro così giovane»

«Raymond era nato a quarant’anni», ebbe a dire Jean Cocteau a proposito dell’amico e protetto, di quattordici anni più giovane, che portò - lui e il suo primo romanzo, Le diable au corps, ovvero Il diavolo in corpo - presso uno dei grandi editori parigini, Bernard Grasset, e da lì sulla bocca e nelle case di tutti (oltre quarantamila copie vendute in un mese).
Il sodalizio tra Jean Cocteau (1889-1963) e Raymond Radiguet (1903-1923) era irrescindibile; da quando si conobbero, nel 1918, fecero tutto insieme, dall’apertura di locali, come il famoso Bœuf sur le toit (dal titolo di un balletto firmato Cocteau e Milhaud), alla fondazione di riviste (Le Coq), ai libretti d’opera (il Paul et Virginie, che avrebbe dovuto avere le musiche di Satie, morto però prima di comporle), alle vacanze. Anche ai libri: soprattutto a proposito del secondo romanzo, Le bal du comte d’Orgel, uscito postumo nel 1924, si scatenò una furiosa diatriba su quanto e come lo stesso Cocteau fosse intervenuto sul testo. Lo scrittore difese sempre a spada tratta l’assoluta paternità di Radiguet, ma - ora che abbiamo a disposizione le varie redazioni del romanzo - sappiamo che non è così. E comunque sia, Cocteau ebbe un ruolo fondamentale nella composizione delle due principali opere dell’amico, le rivide con lui tante volte punto per punto, lo tenne chiuso, come raccontò in seguito, in una stanza d’albergo finché non avesse scritto «la fine magnifica del suo romanzo».
E Cocteau fu indispensabile, insieme a Grasset, nel battage pubblicitario precedente l’uscita de Le diable au corps: cosa che fu loro da più parti rinfacciata (da Aragon, ad esempio), tanto che il medesimo Radiguet prese la penna per giustificare il suo editore accusato di eccessivo entusiasmo (situazione paradossale), nel brano - tradotto oggi per la prima volta in italiano - che presentiamo in questa pagina. Il testo di quell’intervento, uscito nel 1923 nella rivista Les Nouvelles littéraires, è ora pubblicato dall’editore pistoiese Via del Vento in uno dei suoi ormai notissimi librini: Denise e altre prose (pagg. 30, euro 4; a cura di Pasquale Di Palmo) che contiene, oltre alla novella che dà il titolo al volume e al breve saggio già citato dal titolo Il mio primo romanzo: «Il diavolo in corpo», anche il racconto La venditrice di fiori (uscito sul secondo numero della rivista Le Coq nel giugno del 1920) e l’«abbozzo» Il furto della conchiglia che fa parte di vari manoscritti sistemati dall’autore tra il settembre e l’ottobre del 1923 a Piquey sotto il titolo Désordre.
Certo che era un giovane-vecchio, il ragazzino che a quattordici anni fa all’amore con una donna sposata di dieci anni maggiore, quella Alice che sarà modello per la Marthe del Diable; che a sedici anni manda le sue poesie ad Apollinaire, che lo offende credendo in una mistificazione, e poi a Max Jacob, il quale invece ne è subito conquistato; che a diciassette comincia il Diavolo in corpo e a diciotto scrive la commedia Il pellicano; che già collabora assiduamente alle prime riviste di Francia, Dada di Tristan Tzara, Littérature di André Breton. Che a venti muore di febbre tifoide, da solo in una clinica di rue Piccini a Parigi, il 12 dicembre 1923 (era nato a Saint-Maur-des-Fossés, vicino a Parigi, il 18 giugno 1903) poco dopo aver ordinato la sua produzione poetica a cui dà il titolo della prima raccolta, Les Joues en feu.
Nei suoi scritti ritroviamo una strana saggezza, per un ragazzino, e un disincanto che non ci aspetteremmo. Lo vediamo sciorinare massime e lezioni di vita; che talvolta ci vengono in uggia, ma che poi magari trascriviamo sul nostro quaderno: «L’amore è come la poesia, e tutti gli amanti, anche i più mediocri, immaginano di dir cose nuove»; «È sempre l’oggetto che abbiamo costantemente sotto gli occhi che riconosciamo con maggior difficoltà, se appena ce lo cambiano di posto». Ma mostra anche, spesso, la mine del monello, con le sue bricconate e il suo giocare malizioso a far l’adulto. È questa mistura a rendere davvero «scandalose» le sue opere, non perché vi parli di sesso adultero o di voyeurismo.
Del resto di tutto ciò egli ha una precisa consapevolezza (ecco il punto): così scrive in Denise, la novella composta nella primavera del 1921 - di qui a poco comincerà a scrivere Le diable au corps -, durante una vacanza a Carqueiranne, nel Van: «Ero come un bambino disgustato dalla puerilità di un gioco qualsiasi, di un “asino vola”, ma che ci gioca, perché ha pur sempre la sua età, e i giochi lo divertono anche quando li disprezza». Un candore disarmante, e per questo ancor più pericoloso.
Il protagonista di Denise ha per certi versi la medesima, innocente crudeltà del narratore nel Diable; come lui vuole e disvuole, sa che una volta caduto nelle trappole dell’amore sarà come una foglia al vento, e qualsiasi resistenza risulterà inutile. Il suo sguardo sulle cose vorrebbe essere perciò distaccato, e, finché glielo permettono, non tiene in alcun conto gli affetti dell’altro: ma anche così non è semplice, l’altro entra in scena di forza, e la sua tecnica del «guardarsi agire» gli si ritorce contro: «Il nostro tempo si perde in rimorsi e aspettative», ancora predica. E, come un ammalato che si rigiri nel suo letto, non c’è posizione che lo acqueti. L’oblomoviano personaggio resta in sostanza gabbato, perché si addormenta nell’attesa del fatale incontro. «Non mi piacciono le persone che russano», gli comunica la fanciulla, ritiratasi delusa, in un bigliettino.

E lui alza lagni al cielo deplorando i disastri dell’amore, ma con una prosa decisamente sopra le righe: come a dire, non prendetemi sul serio, fa tutto parte di quelle «folli verità» alle quali fingiamo ogni tanto di credere, per «dovere d’immaginazione».

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