Cronache

Il ragioniere della nave si è trasformato in un angelo custode

Giampedroni era solo il commissario di bordo, ma mentre il superiore fuggiva, lui salvava vite rischiando la propria: per 36 ore prigioniero sullo scafo affondato

Il ragioniere della nave  si è trasformato  in un angelo custode

Poveraccio quel popolo che ha bisogno di eroi, diceva Brecht. Ma su una nave che fa naufragio, su una nave che vede il comandante tagliare la corda assieme a vecchiette e bambini, lasciando sul relitto neonati e handicappati, diciamolo pure: lì, in quella situazione, in quei momenti, qualche eroe non guasta. E fortunato il popolo che ne ha. Questo popolo è il popolo italiano, che notoriamente tra le sue fila annovera di tutto: cialtroni e filibustieri, canaglie e furbastri, poeti farlocchi e marinai in fuga, ma anche figure anonime dal cuore gigantesco, che senza chiedersi un perchè si improvvisano titanici nel momento del bisogno.
Anche il disastro della Concordia avrà in futuro il suo bellissimo album di figurine nobili. Per come siamo fatti noi, poco nazionalisti e poco orgogliosi, non tramanderemo questi volti e questi nomi come gli americani hanno tramandato i vigili del fuoco delle Torri Gemelle. Ma la loro dimensione umana, la generosità e l’altruismo, l’istintivo senso del dovere, tutto questo vale lo stesso, agli stessi livelli e con lo stesso spessore.
L’ultimo eroe a riemergere dal disastro del Giglio diventerà sicuramente il primo. Lo prelevano con l’elicottero 36 ore dopo l’affondamento, disteso su una barella, la gamba sinistra fratturata. Non è un lupo di mare, non ha la corteccia rugosa segnata dalla salsedine, non ha la stoffa e il temperamento dei capitani coraggiosi: è semplicemente il commissario di bordo, cioè a dire un responsabile amministrativo, molto più simile a un ragioniere, lontano anni luce dalle epiche icone della leggenda marinara. Si chiama Manrico Giampedroni, ha 57 anni, viene da Ameglia, in provincia di La Spezia.
L’altra sera, mentre il comandante si diverte a fare il ganzo, portandosi in giro una nave enorme come un pedalò, bulleggiando a pochi metri dagli scogli per strappare un applauso, l’anonimo commissario se ne sta seduto a cena, nel ristorante del terzo ponte. Come tutte le sere, ha appena chiamato casa, prima la moglie, poi l’anziana mamma Giovanna, 78 anni e sempre apprensiva come quando lui faceva il bagnetto da piccolo.
Improvvisamente, il tocco da maestro del signor comandante e la storia ormai nota di una catastrofe, dove di realmente catastrofico c’è - come sempre - la stupidità umana. Quel che succede in seguito sta tutto nel racconto dei testimoni. Il commissario Manrico, che non è certo il capitano Nemo e nemmeno il capitano Achab, segue soltanto il suo istinto di uomo generoso, senza consultare guide e protocolli sulla gestione delle emergenze navali. Nel caos generale, facendosi largo tra gente terrorizzata e panico dilagante, comincia a guidare le operazioni tra i locali della nave e la zona delle scialuppe di salvataggio. Tutto il mondo, ormai, conosce i termini e i dettagli del suo soccorso: decine e decine di passeggeri lo raccontano come il loro salvatore, lucido e rassicurante, calmo e deciso.
Poi, il colpo di teatro, che solitamente viene piazzato con una certa mancanza di fantasia dagli sceneggiatori nei film di genere, ma che stavolta è tremendamente crudele: quando gli ospiti del suo settore sono al sicuro, ormai intorno alla mezzanotte, il commissario Manrico torna sui suoi passi per un’ultima ispezione nei locali raggiungibili. Ma proprio in questa ultimissima ricognizione, come nei film più scontati, scivola pesantemente e si rompe una gamba. Comincia così quello che ore e ore dopo, sulla barella dei vigili del fuoco, racconterà come «il peggiore degli incubi». Solo, in una zona della nave lontana dalle scialuppe, senza la possibilità di muoversi, senza la possibilità di farsi sentire. «Però non ho mai smesso di sperare», spiega. «Quando più tardi ho avvertito i rumori dei primi soccorritori, ho cercato di urlare il più possibile. Alla fine i miei lamenti hanno permesso di farmi ritrovare. È un’esperienza terribile, sarà impossibile dimenticare...».
Nessuno dimenticherà. Imbarcato su una nave Costa a diciotto anni, partendo dai gradini più bassi, salendo poi a macchinista, per arrivare fino a «hotel director» con la qualifica di capo commissario, Manrico ne ridiscende in barella, ma con il massimo della riconoscenza, che in certi momenti della vita vale più di medaglie e onorificenze. Gli saranno sempre grati i naufraghi portati in salvo, ma pure questa strana Italia che sembra cocciutamente orientata a far ridere il mondo. Anche stavolta il mondo ride un po’, soprattutto di questo comandante che fa il pelo agli scogli per salutare le belle signore sul pontile, come un bagnino sul gommone. Ma se neppure stavolta una risata ci seppellirà, il merito va tutto a quelli di noi che ancora sanno metterci il cuore.

Caro Brecht, beato il popolo che quando ha bisogno di eroi sa di trovarli.

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