Gli italiani e le banche. Se c'è un rapporto complicato, in cui si mescolano fattori finanziari, emotivi e culturali è proprio questo. E come dimostrano le ultime vicende di risparmio tradito la «relazione pericolosa» si traduce spesso in un danno netto per gli investitori. Ma il legame è spesso più complicato di quanto sembri.
Paolo Legrenzi e Armando Massarenti, nel loro libro mettono in luce un'ambiguità di fondo. Il risparmiatore medio, che ha accumulato i propri risparmi negli anni, spesso di una certa età (due terzi della ricchezza complessiva degli italiani è in mano a persone che hanno abbondantemente superato i 60 anni), stringe talvolta un rapporto di estrema fiducia con l'impiegato di banca che lo assiste. Il legame nasce di solito lentamente e si sviluppa con il tempo, vista anche l'estrema diffidenza con cui vengono trattate le questioni finanziarie (vedi articolo sopra) ma si trasforma poi in un punto di riferimento per il semplice investitore. L'impiegato dell'agenzia diventa «parte di un nucleo ristretto di persone con cui si condividono informazioni che sono considerate decisamente riservate».
Eppure se allo stesso risparmiatore si chiede che cosa pensa delle banche in generale, il giudizio si trasforma in una stroncatura senza appello. Secondo un sondaggio eseguito dalla Demos alla fine del 2015, alla domanda «quanta fiducia prova nei confronti delle banche?», solo il 16% degli intervistati dichiara di averne molta o moltissima. Addirittura la metà del dato registrato per una analoga domanda rivolta nel 2000.
Il legame di fiducia-sfiducia è all'apparenza schizofrenico, ma nasce secondo Legrenzi e Massarenti da una motivazione semplice: nel caso dell'impiegato pesa l'esperienza diretta, nel caso delle banche in generale l'esposizione al dibattito pubblico e mediatico. Le conseguenze della situazione sono però significative: la fiducia nei confronti dell'agenzia di riferimento si trasforma spesso in «delega totale, in un abbandonarsi acritico nelle braccia di chi ci consiglia».
Nel peggiore dei casi questo conduce direttamente a vicende come quello di Banca Etruria. E in generale asseconda spesso la cosiddetta «sindrome dello specchietto retrovisore», il ripetere passivamente decisioni solo perché si sono rivelate giuste nel passato.AA
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