San Marino è nuda, senza più segreti, spoglia, trasparente, preoccupata, diversa. La cittadella medievale che si è costruita un destino fuori dal tempo non è più il paradiso nascosto dei ricchi. Non è più un affare, un luogo dove i soldi arrivano e perdono lodore. San Marino ha dovuto gettare la maschera e, come assalita da una strana angoscia, ha rialzato i vecchi muri. È la paura. È vedere le aziende che vanno via, le banche che scappano. Solo che a pagare tutto questo non saranno i sammarinesi, ma gli italiani. Stranieri, extracittà, quelli venuti da fuori le mura. Via, via, tornate nelle vostre terre: a Milano, in Romagna, a Roma, giù nel Sud. Limmigrato italiano non è più il benvenuto dentro le mura della repubblica, è malvisto.
Sono otto mesi che i frontalieri italiani hanno iniziato a tremare. La procedura è sempre la stessa: dallufficio del lavoro i permessi non arrivano più. Sui fogli si legge «revocato» invece di «rinnovato». Quello che arriva dopo è anche peggio: una lettera dal datore di lavoro per informare il dipendente che a San Marino, per lui non cè più posto. Per andarsene ha solo due mesi. A San Marino funziona così, non cè bisogno di molto preavviso. I più fortunati sono gli italiani che lavorano da oltre sei anni nella stessa azienda: per loro il preavviso è di sei mesi.
Dallinizio del 2009 sono oltre 400 gli italiani frontalieri che hanno perso il posto di lavoro. È lequazione delle vacche magre. San Marino piange miseria, Tremonti non molla la presa, i controlli sono sempre più pesanti, da giovedì cè lobbligo per le aziende italiane di trasmettere i dati allAgenzia delle entrate, cè la fuga delle imprese, nessuno vuole guai. Ma sulla Rupe a tremare sono gli italiani. «Non ho mai visto una regressione così forte, è unagonia continua. Non si respirava un clima così teso nemmeno negli anni 80 quando qui a San Marino ci sono stati periodi bui». Giorgio Felici è il segretario della federazione industria di San Marino, un sindacalista che da anni combatte per i diritti dei lavoratori. Nel suo ufficio i telefoni sulla sua scrivania non smettono di suonare. «Cerchiamo di aiutare tutti, ma è chiaro che ora, qui, tra la gente di San Marino cè un pensiero comune: che se ne vadano gli italiani. È un clima bruttissimo, di diffidenza reciproca». Meno tutelati, i lavoratori italiani si ritrovano a casa con pochissimi mesi di preavviso. Solo la minoranza di loro lavora in banca, la maggior parte sono operai, manovali, lavorano nelle aziende chimiche, in quelle del legno. Per loro i diritti sono pochi, lavorano da anni con contratti a tempo determinato, rinnovati di anno in anno. «Nel 2005 avevamo raggiunto un accordo per tutelare proprio i lavoratori frontalieri: dopo sette anni di anzianità maturati in una azienda, il dipendente veniva assunto a tempo indeterminato. Si liberava così da quellincubo del rinnovo ogni 18 mesi. È stata una dura battaglia sindacale, una conquista. Ma proprio questanno, nel 2010 scadeva la clausola di verifica. Quindi è tutto andato allaria». Ovviamente non se ne farà più niente. San Marino chiude le frontiere, impone vincoli, si protegge. È la sua vendetta silenziosa. È la risposta allaccerchiamento, è il prezzo da presentare allItalia.
San Marino vuole crescere e lo sta dimostrando, collabora con Roma sul fronte della lotta allevasione, applica senza indugi le regole Ocse in materia di antiriciclaggio, ma dallaltra parte sta mandando a casa tutti gli italiani, per loro mancano le tutele, le garanzie. «Ci sono dei paesi in provincia di Pesaro e Rimini, come Fratte, San Leo, che hanno l80 per cento degli abitanti che lavora a San Marino. Per loro si può ben capire che la situazione non è facile. Hanno paura e hanno ragione. Io da sindacalista li vedo e li seguo tutti i giorni». San Marino si svuota, cambia volto. Le piccole aziende, quelle a conduzione familiare dichiarano fallimento, mandano via gli italiani e riaprono poco dopo con un nome diverso e riassumono solo gente di San Marino. Per le aziende grandi invece è diverso, per evitare ai propri clienti di finire nel mirino delle Fiamme gialle.
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