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«Il reato di clandestinità? Difende gli italiani»

MilanoScrive nella sua sentenza il giudice Orpello: «La norma appare formalmente e sostanzialmente giusta in quanto diretta a tutelare i diritti costituzionali degli altri consociati (lavoro, sicurezza, ordine pubblico, sanità) e a frenare il fenomeno della delinquenza organizzata che, viceversa, verrebbe incentivato se, come in passato, il massimo che poteva accadere a uno straniero che si sottraeva ai controlli di frontiera era di essere rifocillato e riaccompagnato nel suo Stato d’origine. In siffatte ipotesi il viaggio della speranza non poteva che costituire un tentativo appetibile e un incentivante «business» per i trafficanti».
Un altro, al suo posto, se ne sarebbe lavato le mani trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale e lasciando ai cervelloni della Consulta il compito di sbrogliare la matassa. Invece Antonio Orpello, giudice di pace a Milano, non si è tirato indietro. E non si è neanche preoccupato di mettersi in rotta di collisione con la linea sostenuta da molti magistrati di fama, con in testa i capi delle Procure di Milano e Torino, secondo i quali il reato di clandestinità - recentemente introdotto in Italia - farebbe a pugni con la Costituzione.
Il 16 settembre, quando gli era toccato celebrare i primi processi per clandestinità, aveva condannato gli imputati in men che non si dica. E aveva respinto al mittente le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai difensori. Con le motivazioni - depositate ieri - di quella sentenza, Orpello si schiera ancora più risolutamente a favore della nuova legge e della sua compatibilità con i principi della Carta fondamentale della Repubblica.
«Il reato di immigrazione clandestina - premette Orpello - è vigente in molti stati europei. In Gran Bretagna, culla della democrazia post-ellenica, è in vigore dal 1971 e prevede fino a sei mesi di reclusione più un’ammenda. In Germania l’immigrazione clandestina è reato dal 2004, in Francia è stato introdotto nel maggio del 2008». E aggiunge: «Se non esistesse il reato in parola verrebbe stravolto il principio di uguaglianza in danno degli stranieri regolari perché verrebbero messi sullo stesso piano rispetto agli stranieri che, eludendo i controlli di frontiera, entrano o soggiornano nel territorio dello Stato in modo clandestino».
«Tale condotta illecita - scrive ancora Orpello - comprimerebbe altrettanti diritti Costituzionali garantiti a tutti gli altri residenti sul territorio dello Stato ivi compreso gli stranieri regolari. Si pensi alla compromissione del diritto al lavoro, che verrebbe messo in pericolo da un flusso non regolato, ma anche alla minaccia per motivi di sanità o di sicurezza, al rischio della difesa della Patria che è sacro dovere del cittadino. Si pensi a cosa accadrebbe ai diritti costituzionali dei cittadini italiani nell’imprevedibile ma non impossibile ipotesi di sbarco incontrollato di svariate decine di milioni di stranieri».
Ragionamenti fin troppo concreti, si dirà. Ma il giudice di pace Orpello si mostra sicuro delle sue tesi. Come quando spiega in tre righe perché secondo lui il reato di clandestinità non viola l’articolo 3 della Costituzione, quello sull’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge: «L’Art. 3 della Costituzione si riferisce all’uguaglianza fra i cittadini, ossia alle persone fisiche alle quali l’ordinamento giuridico dello Stato riconosce la pienezza dei diritti civili e politici».

E i clandestini, sostiene Orpello, cittadini non sono.

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