«Dal Malecòn si scorgevano le insegne luminose di fronte al Parque Maceo sul lato occidentale, e anche se non si potevano certo paragonare con le insegne luminose del Parque Central, le altre insegne pubblicitarie... davano alla notte avanera una magia unica, indimenticabile».
È la Cuba cantata da Guillermo Cabrera Infante, la Cuba di prima del comunismo; e la sua capitale è quell«Avana per un Infante defunto» cantata dal grande scrittore coetaneo di Fidel Castro (Fidel è del 1926, Cabrera Infante del 29). Una città irrequieta, brulicante di vita e di personaggi, di avventure clandestine e di passioni politiche, di donne irresistibili e di amori travolgenti. «LAvana, chi non la vede non lama», si diceva una volta per spiegare lineffabile malìa della città. È un antico proverbio che Fidel Castro e il suo plumbeo comunismo caraibico hanno fatto di tutto, negli ultimi cinquantanni, per far dimenticare. Non ci sono riusciti. E forse non è un caso che proprio mentre il regime, insieme con il suo fondatore, si avvia verso il regno dei morti, la Cuba solare, irresistibile, avida di vita riemerga comera, riguadagnando il tempo perduto e decretando la fine di un esperimento che è costato sangue sudore e lacrime.
Non è ancora ufficiale, ma la Cuba di Fidel Castro non cè più. Al lider maximo, rincoglionito dagli anni e dalla malattia non lhanno ancora detto, perché pare brutto. Ma è così. Lultimo tremendo colpo di piccone al regime dei descamisados è di ieri. Per la prima volta dopo cinquantanni, ha decretato il governo, i cittadini cubani potranno recarsi allestero per turismo. Non è un «regalo» del governo comunista. È una resa, una dichiarazione di sconfitta, un attestato della propria astoricità, quello sottoscritto dal governo capeggiato da Raul Castro, il fratello di Fidel. Il resto verrà, sta arrivando, anche se le slavine fanno meno fracasso dei terremoti.
Una mezza rivoluzione è già nelle riforme economiche annunciate al recente congresso del Partito comunista da Raul Castro e nella limitazione a due incarichi di cinque anni di tutti i mandati politici. Ma già la notizia che si potrà andare avanti e indietro dallisola a proprio piacimento, senza elemosinare un visto al partito, o senza farsela a nuoto, aggrappati alla camera daria di uno pneumatico, allAvana è stata accolta con un sommesso boato di trionfo. Per molti cubani, quelli cresciuti nel solco della rivoluzione castrista, viaggiare è stato un sogno, una chimera, talvolta una tragedia. Come per Dulce Fedora, la mamma di Tai Aguero, la nostra pallavolista di origine cubana che da Pechino, alle Olimpiadi del 2008, non potè rientrare a Cuba per vedere la mamma morente per questioni di visto. Dulce Fedora morì a Mayajigua, 360 chilometri dallAvana, con gli occhi rivolti a una porta rimasta chiusa. Morta senza aver potuto guardare per lultima volta negli occhi quella stangona che lei chiamava ancora «la mia ragazzina». Non la vedeva dal giugno del 2001, quando Tai, a Montreaux per un torneo, aveva deciso di restare in Europa. Due anni prima, a Tai Aguero avevano negato il visto per andare a salutare il padre, anche lui in fin di vita. Un caso, uno fra i tanti, di autolesionistica ottusità stalinista in cui ancora annaspa lanacronistico, imbarazzante regime imposto ai suoi concittadini da Fidel.
Ma la «primavera» è nellaria. Presto verrà eliminata la storica «libreta», la tessera che consente a tutti i cittadini di avere accesso a beni di prima necessità a prezzi politici. E si potrà avere libero accesso negli hotel («privilegio» accordato finora solo agli stranieri) e si potranno acquistare telefoni cellulari, lettori dvd, computer, e diventare proprietari della casa in cui si abita e lasciarla in eredità ai figli.
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