Alla fine di luglio del 1997 Saloth Sar, alias Pol Pot, dittatore della Cambogia deposto, fuggiasco e sconfitto, fu tradotto, insieme a tre comandanti khmer rossi che gli erano rimasti fedeli, davanti a un Tribunale del popolo allestito nelle vicinanze del confine con la Thailandia. Il giornalista americano Nate Thayer, chiamato perché immortalasse la scena, lo descrisse così: «Se ne stava seduto su una semplice seggiola di legno, aggrappato a un lungo bastone di bambù e con in mano un ventaglio di vimini, un vecchio angosciato con uno sguardo incerto». Pol Pot fu condannato al carcere perpetuo, il che non gli impedì di spegnersi in un comodo letto nove mesi dopo, i tre coimputati vennero invece giustiziati. Prima che Pol Pot morisse lo stesso Thayer poté intervistarlo e si sentì dire, dallo sterminatore che aveva ucciso o lasciato morire di stenti quasi due milioni di suoi concittadini su una popolazione di sette milioni e mezzo: «La mia coscienza è pulita».
Può darsi che la ritenesse tale, nellottica stralunata del fanatismo assoluto. Di sicuro non dovrebbero sentirsi a posto con la loro coscienza gli occidentali che per far dispetto allUrss perorarono lammissione della Cambogia dei khmer rossi nelle Nazioni Unite, e i terzomondisti che tributarono unovazione al principe Sihanouk - lambiguo anche se riluttante compare di Pol Pot - quando si presentò allassemblea dellOnu per magnificare, in chiave antiamericana, le conquiste democratiche realizzate in Cambogia. Gli autori del massacro più spaventoso - in rapporto alla popolazione - che lumanità ricordi hanno troppo a lungo goduto duna indecente indulgenza.
Da circa la metà dellOttocento fino alla proclamazione dindipendenza del 1953 la Cambogia fu sotto linfluenza francese, con la breve parentesi duna occupazione giapponese durante la seconda guerra mondiale. Re Sihanouk sera volontariamente retrocesso a principe per poter svolgere un ruolo politico attivo e nelle elezioni del 55 ottenne tutti i seggi dellAssemblea nazionale con il suo partito «socialista popolare». Ma il piccolo Stato fu fatalmente coinvolto nelle turbolenze provocate dal conflitto vietnamita. Sihanouk si barcamenava cercando di mantenere buoni rapporti con la Cina, con i Vietcong e con Washington. Non sempre ci riusciva. Finché nel 70 il generale Lon Nol, che era anche primo ministro, e che era filoamericano, lo cacciò. Dopodiché dovette vedersela non solo con il Vietnam del Nord, ma anche con un movimento comunista sempre più aggressivo: nei cui ranghi emergeva Pol Pot, figlio di possidenti, mediocre studente a Parigi, e là convertito a un credo collettivista dinaudita spietatezza.
Il 21 aprile 1975 la capitale Phnom Penh fu conquistata dai khmer rossi il cui delirio sanguinario ebbe immediata applicazione. Agli abitanti delle città fu ingiunto di lasciare le loro case, per riconvertirsi alla vita rurale. Chiunque obiettasse o cercasse di resistere veniva ammazzato, chiunque non avesse una resistenza eccezionale alla fatica e al dolore passava, è proprio il caso di dirlo, a miglior vita.
«Quello che Pol e i suoi colleghi approvarono in quella primavera - ha scritto Philip Short nel suo saggio Pol Pot Anatomia di uno sterminio, edito da Rizzoli - fu uno Stato schiavista, il primo dellera moderna. \ Stalin e Hitler schiavizzarono metaforicamente i loro popoli privandoli dei diritti e delle libertà di base. Pol, in Cambogia, lo fece alla lettera, incarcerando la popolazione entro una struttura politica e sociale, una prigione senza sbarre \ nella quale era previsto che fosse svolto senza retribuzione qualsiasi lavoro venisse assegnato dai capi, per una durata imprecisata, e chi non lo avesse fatto avrebbe rischiato pene che andavano dal ritiro delle razioni alimentari alla morte. Vitto e indumenti erano, in teoria, forniti dallo Stato. Ma non cerano salari \. Non cera nemmeno un mercato \ Gli abitanti furono privati dogni controllo sul proprio destino, non potevano decidere cosa mangiare, quando dormire, dove abitare».
Lo scempio durò tre anni perché il Vietnam decise di sottomettere la Cambogia (i khmer rossi si diedero alla guerriglia).
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