Fra gli elementi che emergono in questi giorni dalle urne, ce nè uno su cui, a mio parere, ci si è soffermati troppo poco. E cioè che riproducendo i voti delle amministrative sulle regionali - operazione oggettivamente azzardata e priva di ogni scientificità, me ne rendo conto - Sandro Biasotti sarebbe il nuovo presidente della Regione.
Oddio, se avesse deciso di candidarsi, come gli consigliavamo un giorno sì e laltro pure, Biasotti sarebbe anche, con ogni probabilità, il nuovo presidente della Provincia e forse, grazie alla sua popolarità, addirittura il nuovo sindaco di Genova. Sandro, legittimamente, ha deciso di fare diversamente perchè ha deciso che per lui la Regione viene prima di qualsiasi altra cosa. E quindi Regione sarà.
La cosa bella è che, per una volta, la Casa delle libertà è in anticipo di tre anni sulla scadenza e che il suo candidato ha già iniziato una campagna elettorale a tappeto. Sandro Biasotti ha saputo far tesoro dei suoi errori del passato e, ad esempio, ha iniziato a girare come una trottola fra gli elettori, non risparmiandosi nulla. A evitare la politica dei convegni negli albergoni e a battere mercati e marciapiedi alla ricerca di ogni singolo voto e di ogni singolo contatto. Anche con gli strumenti più semplici, ma utili: una lavagna, una bacchetta e la propria voce per spiegare per la strada come si vota. Gli sciagurati ultimi mesi che lo vedevano asserragliato - per carità, in buona fede - a governare fino allultimo giorno nel palazzone di De Ferrari, sono solo un ricordo. E Sandro, come solo le persone intelligenti sanno fare, ha cominciato a ricostruire dai suoi errori.
Il suo lavoro in mezzo al popolo si è fatto sentire. Il risultato della lista arancione va al di là di ogni più rosea previsione, soprattutto considerando che lui non era candidato e che in lista cerano neofiti assoluti della politica (forse proprio per questo). Per di più, gli arancioni portano a Tursi una squadra di persone preparate e perbene: il tassista Valter Centanaro, il prof di ginnastica Franco De Bendictis, la mamma fascinosa Lilli Lauro e il bancario Gian Luca Fois pronto a far loro compagnia se dovesse scattare un altro seggio. Gente normale, per lappunto.
Gente che ha riportato a Casa voti che, nella stragrande maggioranza dei casi, non sarebbero voti di destra. Ma, anzi, spesso, sono voti di elettori che - per i motivi più vari - non voterebbero per il centrodestra. Il recupero di questi consensi, insieme a quelli portati con il voto disgiunto da un candidato con una storia recente di sinistra moderata come Musso, è stato proprio il segreto del successo di Enrico. Ribadisco: se Sandro, da governatore, avesse fatto un decimo di quello che ha fatto oggi per Musso, forse sarebbe ancora a De Ferrari.
Biasotti, poi, ha fatto altre due mosse strategicamente azzeccatissime. Prima: la scelta dei collaboratori. Ottima idea quella di mettersi a fianco un vecchio conoscitore della macchina politica democristiana come Gianni Barci. Così come quella di affidare la sua passione a un amico fedele, leale e devoto, oltre che lavoratore indefesso, come Roberto Dotta, uno che vorrebbe avere a fianco qualunque leader.
Secondo: il riconoscimento del ruolo di Claudio Scajola, unico leader nazionale della Liguria, che Biasotti aveva impropriamente vissuto come proprio competitor. Invece, il punto era un altro: i due giocavano campionati diversi e su livelli diversi. Dopo le tensioni degli anni scorsi e gli schiaffi reciproci, invece, complice il sottile lavoro di mediazione di Michele Scadroglio, la scena dei due sul palco di Palazzo Ducale, fra migliaia di persone festanti che alzavano gli striscioni «Claudio+Sandro=vittoria», è forse limmagine più bella della campagna elettorale. Perchè è da quello striscione che parte la rivincita.
Nel momento in cui saliva quello striscione, Sandro Biasotti ha iniziato la vera campagna elettorale per le regionali. E in quel momento, la sinistra ha ricevuto un preavviso di sfratto dal palazzo di De Ferrari.
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