Il Regno d’Italia e gli eccessi del centralismo

Caro Granzotto, ritengo un po’ semplicistica la sua risposta al signor Dominici, riguardante le iniziative del sindaco filosofo della mia città e la tradizionale «vulgata» risorgimentale. Chi volle dare una fisionomia federale all’Italia unificata (Camillo Benso conte di Cavour) e chi predispose il progetto da sottoporre al Parlamento (Marco Minghetti) erano entrambi massoni, come lo era il convinto teorico dell’Italia federale, Carlo Cattaneo. Ciò dimostra che la massoneria italiana, non era così compattamente appiattita su posizioni centraliste. Cavour aveva visto giusto, ma i tempi erano immaturi. Fu adottato un sistema fortemente accentrato, non per la matrice massonica del Parlamento di allora, ma perché, lasciando all’autonomia locale la facoltà di organizzarsi, le differenze economiche, sociali e culturali ereditate dal passato avrebbero ostacolato la creazione di uno Stato omogeneo. Accanto ad aree settentrionali in via di modernizzazione, esistevano situazioni arretrate, soprattutto nell’economia rurale del Sud. L’estraneità delle masse popolari al nuovo Stato esplose nel brigantaggio, che solo l’esercito nazionale poté sedare. Il divario economico che separava il Sud dal Nord, diede origine alla «questione meridionale». La difformità legislativa era un altro grave problema del neonato Regno, che fu risolto con l’estensione dell’ordinamento legislativo piemontese.

Per questi motivi si ritenne più opportuno dare un assetto centralistico al nuovo Stato. Maurizio Del Maschio - Venezia

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