La religione dei diritti umani ha messo ko il cristianesimo

La Chiesa sembra considerare questo clima come semplice aggiornamento del proprio messaggio. E premia l'assistenzialismo statalista

C'era una volta il regno dei doveri. Per secoli e secoli i grandi pensatori occidentali discettarono esclusivamente dei doveri degli uomini verso se stessi, verso gli altri, verso Dio. Poi le cose sono cambiate. Oggi a tenere banco sono i diritti. Si è instaurata una vera e propria dittatura dei diritti. E, con essa, si è innescato un processo di moltiplicazione dei diritti che non sembra aver fine e che si sviluppa all'insegna della pretesa che i cosiddetti «diritti umani» siano, in quanto «naturali» ossia inerenti alla natura dell'uomo, inviolabili e non negoziabili. Con buona pace di Benedetto Croce il quale sosteneva che «un diritto naturale non si trova in nessuna parte, perché logicamente e realmente contraddittorio», ma anche di Alasdair MacIntyre che equiparava il credere ai diritti dell'uomo al «credere nelle streghe e negli unicorni». In parole povere, una nuova «religione secolare» o secolarizzata, la «religione dei diritti umani», ha preso il posto, surrogandola, della religione rivelata in un'epoca sempre più caratterizzata dal relativismo culturale.

Un filosofo laico come Marcello Pera, da sempre preoccupato per le sorti della civiltà occidentale messa sotto pressione dal proprio masochismo intellettuale e dai troppi e non giustificati sensi di colpa, si è proposto - nel suo ultimo saggio dal titolo Diritti umani e cristianesimo. La Chiesa alla prova della modernità (Marsilio, pagg. 174, euro 18,50) - di analizzare le modalità che hanno accompagnato il passaggio, in nome della modernità, dalla società dei doveri alla società dei diritti e di sottolinearne pericolo e contraddizioni. La posizione di Pera è quella di un liberale ben lontano dalle posizioni dell'anticlericalismo storico che, grazie anche all'amicizia e alla vicinanza intellettuale con Benedetto XVI, guarda con attenzione al cristianesimo.

Già qualche anno fa, nel 2008, in un bel libro intitolato Perché dobbiamo dirci cristiani (Mondadori) e che è da considerarsi la logica premessa dell'ultimo saggio, egli sostenne la tesi che il liberalismo, nella misura in cui si propone di promuovere e proteggere i diritti umani, non può assolutamente entrare in collisione con il cristianesimo, dal momento che senza il Dio cristiano non sarebbero spiegabili né il concetto di persona né, tanto meno, l'idea della sacralità e dignità della persona cui, alla fin fine, i diritti umani fanno riferimento. Il liberalismo, insomma, e i diritti umani debbono, secondo lo studioso, pagare un prezzo al cristianesimo. Nel nuovo volume Pera affronta il tema simmetrico, quello dei prezzi che il cristianesimo deve pagare alla dottrina dei diritti umani in cambio dell'accettazione di essa e si pone il quesito della loro sostenibilità per la Chiesa. Per molti secoli - basti pensare al Sillabo di Pio IX - la Chiesa osteggiò le opinioni «false e perverse» dei liberali per motivi soprattutto di natura dottrinale, perché riteneva che al centro del comportamento cristiano dovessero essere i doveri dell'uomo verso Dio e non i suoi diritti nei confronti degli altri uomini: l'uomo, in sostanza, non poteva condurre una vita morale e costruire una società ordinata se non conformandosi ai comandamenti divini. Poi le cose cambiarono. Apprezzata e accettata la modernità, la Chiesa giunse al punto di proclamare i diritti umani come un «aggiornamento» del messaggio cristiano. Fu una revisione totale sulla quale Pera mostra alcune perplessità. Scrive, infatti, a proposito dell'ottimistica illusione legata alla proliferazione dei diritti umani nella moderna società occidentale: «Pensare che il giorno in cui saremo tutti nel possesso pieno e garantito dei nostri diritti inerenti e finalmente godremo di pace, benessere, felicità è idea molto bella. Le manca solo di essere vera. O anche solo verosimile. Perché liberarsi da vecchie catene conosciute è un passo avanti, ma arrivare a pensare che non vi saranno più catene perché il riconoscimento dei diritti umani le spezzerà, una alla volta, tutte quante, sarebbe uno di quei passi che mentre danno l'ebbrezza dell'onnipotenza ci nascondono la miseria inestirpabile della condizione umana. Quella del peccato originale, come lo chiamano i cristiani, o del “male radicale”, come lo definiva Kant».

È l'idolatria dei diritti umani che Marcello Pera teme perché una religione secolare o secolarizzata, quale che sia, è sempre pericolosa. I diritti umani, liberati dall'apertura di un ideale vaso di Pandora, sono come i bisogni dei quali discettano gli economisti classici: proliferano, si autoalimentano e, in qualche caso, si autodistruggono per lasciare spazio a sempre nuovi, e più spesso avanzati, diritti umani o bisogni. Nelle democrazie occidentali contemporanee, nelle democrazie di un Occidente in crisi e che ha perduto il senso della propria identità cristiana, le carte dei diritti e i tribunali contribuiscono a questo processo. La Chiesa ha concesso, in nome della modernità, una larghissima apertura di credito alla democrazia come idea e alle democrazie come istituzioni politiche. Ma questa apertura è stata effettuata pagando prezzi assai elevati come la secolarizzazione della società, lo statalismo, l'assistenzialismo. Nella società secolarizzata la laicità è la religione dei diritti umani: qui i diritti umani, siano di libertà o di giustizia, prendono il posto dei comandamenti del Decalogo in base all'argomentazione che essi sono «genuinamente universali» e «inclusivi perché lasciano libero gioco a tutti» mentre gli altri, i comandamenti appunto, sarebbero «particolari» e, soprattutto, «esclusivi» impedendo a qualcuno di «giocare alla pari». Inoltre - è il secondo prezzo - quella protezione dei diritti di giustizia sociale, sui quali la Chiesa insiste, richiede agli Stati l'assunzione di politiche economiche e fiscali che li trasformano in «dispensatori di beni e servizi a favore di ceti sociali» e riducono i cittadini al rango di «questuanti della mano pubblica, con grave perdita della loro autonomia, responsabilità e anche dignità».

Quello che Marcello Pera vuole denunciare, nel suo denso e suggestivo saggio, è il fenomeno in atto della «scristianizzazione» in nome dei diritti umani di un Occidente immemore e vergognoso del patrimonio di benemerenze apportato dal cristianesimo all'Europa. È la posizione di un autentico liberale laico, consapevole dei benefici apportati dal cristianesimo al liberalismo e, al tempo stesso, critico nei confronti della pericolosa deriva di un falso pensiero liberale che finisce per «intendere l'autonomia dell'uomo non come libertà dentro la legge morale», ma piuttosto come «fonte della stessa legge morale».

Una posizione controcorrente vissuta con profonda coerenza.

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