nostro inviato a Cagliari
L’ultimo grido di dolore, e rabbia, viene nientemeno che dalla Cgil. Riguarda la produzione di energia eolica, uno dei cavalli di battaglia ambientalisti di Renato Soru. La regione Sardegna aveva individuato le zone dove realizzare le «fattorie eoliche» e molte società hanno predisposto una serie di progetti, investendo denaro che in futuro speravano di poter risparmiare. Speranze vane. A metà gennaio la giunta ha modificato lo studio delle aree e imposto nuovi vincoli, tra cui il limite di un solo autogeneratore per ogni società produttrice. La Portovesme Srl di Carbonia, colosso della metallurgia, ne aveva progettati 14. «In queste condizioni è chiaro che il progetto non può essere nemmeno presentato - è sbottato Giorgio Asuni, segretario regionale della Filcem Cgil (lavoratori chimica energia e manifattura) -. Il paradosso è che tutta la delibera è incentrata sull’esigenza di favorire l’autoproduzione».
La beffa di Portovesme è l’emblema di ciò che il governatore Renato Soru ha fatto per l’economia dell’isola: grandi proclami di principio contraddetti dai fatti. Il Pil della Sardegna cresce più lentamente di quello nazionale, già asfittico. Il Rapporto Svimez 2008 sull’economia del Mezzogiorno calcola 190mila disoccupati, il 24 per cento della forza lavoro. Le domande di cassa integrazione ordinaria sono aumentate del 45 per cento in tre anni (erano 23.371 nel 2006, 27.791 nel 2007 e 33.951 nel 2008), addirittura quintuplicate le domande di cassa integrazione straordinaria (dalle 309 del 2006 alle 1567 del 2008). In crisi anche il settore agricolo, che pure ha mostrato deboli segnali di ripresa: «Bisognava riformare i consorzi di bonifica, ma con la giunta Soru non c’è stato un minimo di concertazione - ha detto Marco Scalas, presidente della Coldiretti Sardegna -, è una cosa orrenda impostare le cose senza concordarle».
Crollati i consumi delle famiglie: la Sardegna è la regione più indebitata d’Italia, il 45 per cento del reddito disponibile netto se ne va per pagare le rate a banche e società finanziarie. Aumenta la povertà: 150mila famiglie, quasi 400mila persone, non raggiungono il reddito minimo. I comuni minori si spopolano. È peggiorato l’import-export. Le infrastrutture segnano il passo: nessuna autostrada, una superstrada a quattro corsie (Cagliari-Sassari-Olbia), ferrovie lente, ritardi nel sistema portuale. Le energie alternative, che dovevano ricevere forte impulso, ristagnano sotto la soglia del 5 per cento mentre il Piano energetico regionale prevedeva di raggiungere almeno la media nazionale del 22 per cento. La Sardegna è la regione italiana con la percentuale più bassa di laureati (6,2, media nazionale 7,5 per cento) e di diplomati (22,4 contro 25,9).
La politica economica di Soru per l’isola è stata un fallimento. Oggi la gente di Sardegna è più povera di cinque anni fa, e non soltanto i possessori di azioni Tiscali. Il governatore aveva promesso treni veloci che non ci sono, nonostante in campagna elettorale abbia fatto credere che esistessero davvero. Ha depresso il turismo con la tassa sul lusso. Ha fatto arrabbiare imprenditori grandi e piccoli non facendo nulla perché i lavori per il G8 alla Maddalena fossero assegnati a imprese dell’isola, costrette a elemosinare subappalti che danno pochi soldi e nessun lustro. Il suo Piano paesaggistico ha bloccato l’edilizia e l’indotto. Che non significa soltanto impedire le seconde case o gli alberghi sulle coste, come ripete la propaganda del governatore dimissionario (salvo deroghe concesse da lui stesso).
Il Ppr, per esempio, ha bloccato per anni l’urbanistica di una città come Cagliari. Siccome esso prevede una fascia di rispetto attorno a ogni «emergenza» (chiese, monumenti, edifici e resti storici, costruzioni militari, eccetera), di fatto nel capoluogo non si è potuto toccare nulla. La regione ha bloccato il nuovo sistema di parcheggi nel centro storico. Ha imposto lo stop a un nuovo campus universitario sponsorizzando un progetto alternativo irrealizzabile. Il parco archeologico-ambientale di Tuvixeddu è un campo abbandonato. Il quartiere di Sant’Elia, una delle zone più problematiche della città, attende interventi programmati da tempo ma impossibili da attuare perché la regione li ha vincolati alla costruzione di un faraonico «museo regionale della cultura nuragica, fenicia e contemporanea», il Betile: secondo i tecnici di Soru si dovevano spendere 83 milioni e mezzo di euro per il solo museo nuragico e 45 milioni per la riqualificazione strutturale e sociale dell’intero quartiere.
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