Marina Gersony
Furono più di mille gli italiani perseguitati, deportati nei gulag o uccisi dura nte il terrore staliniano. Molti morirono nei campi disseminati nelle regioni sovietiche più remote, stremati da freddo, fame e torture; altri, prima di raggiungere le destinazioni finali, soprattutto negli anni del Grande Terrore tra il 1937 e il 38, vennero fucilati quasi sempre senza processo. Alcuni corpi sono stati ritrovati nel 2000 nelle fosse comuni di Butovo o della Kommunarka nei pressi di Mosca e altri ancora nella fossa di San Pietroburgo, individuata solo di recente. Si parla di un numero di vittime che può apparire esiguo rispetto ai milioni di morti sovietici e alle perdite che subirono altre comunità straniere, anche se in realtà si tratta di un dato rilevante per una riflessione sulla storia sovietica e più in generale di tutto il XX secolo.
A ricordare gli scomparsi italiani ci ha pensato Gabriele Nissim, scrittore, saggista nonché presidente del Comitato per la Foresta dei Giusti, da anni impegnato a tenere viva la memoria di tutti coloro che hanno pagato con la vita il loro impegno morale, politico e civile in contesti di guerra e di conflitti.
A Milano, il 10 novembre in via Bagarotti, s'inaugura il primo parco dedicato a loro, italiani eroici che altrimenti sarebbero finiti nelloblío. Spiega Nissim: «Nel parco Valsesia potranno venire i figli e gli amici di tutti quelli che hanno conosciuto la solitudine e l'ostracismo, perché la conoscenza delle loro vicende avrebbe potuto mettere un crisi miti e ideologie consolidate come affermò Sartre quando chiese di nascondere le vicende dei gulag per non intaccare le speranze dei lavoratori in un mondo migliore».
Per il promotore dell'iniziativa si tratta di una terribile menzogna che si è protratta per decenni, troppi; una censura costante su un male estremo in nome di una bieca e ottusa lotta contro il capitalismo. Ed è grazie all'impegno di alcuni singoli, di percorsi di responsabilità personale e di battaglie solitarie che oggi si può rendere omaggio alle vittime. Personaggi come Luciana de Marchi che a Mosca, nel 1938, ebbe il coraggio a soli tredici anni di non cedere al ricatto della gioventù comunista di ripudiare pubblicamente il padre Gino, arrestato con l'accusa fantasiosa di essere un nemico del popolo. Gino era semplicemente un giovane amico di Gramsci e per questo fu fucilato nel poligono di Butovo. Luciana non si è mai arresa e ha dedicato la vita alla riabilitazione del padre, nonostante l'ostilità dei dirigenti del partito comunista a Mosca. Ci sono anche i casi di Pia Piccioni con le figlie Rina e Parisina, che dopo l'arresto del marito e padre Vincenzo Baccalà, imprigionato e fucilato per non avere firmato un documento che esaltava Stalin, hanno perseguito la verità nonostante il partito di Togliatti avesse loro ordinato di tacere «per il bene della causa» in Italia. E ancora Dante Corneli, che dopo vent'anni di prigionia nei gulag, al suo ritorno nel 1970 ebbe il coraggio di denunciare la corresponsabilità di alcuni dirigenti italiani nella persecuzione di decine di antifascisti in Russia.
Corneli aveva capito fin troppo bene che una certa «smemoratezza» era dovuta soltanto dal timore che potesse emergere il ruolo giocato da alcuni quadri del partito, responsabili di aver stilato rapporti negativi, in realtà delle vere e proprie condanne.
Conclude Nissim: «Finora non è mai capitato che D'Alema o Fassino si recassero in Russia per rendere omaggio ai memoriali di Butovo, a Mosca, o di Levashovo, a S. Pietroburgo, o nelle miniere di Kolyma, dove sono seppelliti migliaia di prigionieri politici, mentre è normale recarsi a visitare Auschwitz o Treblinka. A differenza della Shoah, la memoria del gulag stenta a diventare un ricordo universale».
Il Comune di Milano (Comitato per la Foresta Mondiale dei Giusti) promuove, per domani, alle 17 un omaggio alle vittime italiane del gulag.
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