Ricostruzione futurista? No, contemporanea

C’è chi pensa che il Futurismo sia finito con la morte di Boccioni, nel 1916 (gran parte della critica «storica», molto politicizzata), altri invece che si sia inoltrato sin dentro agli anni Venti (era la tesi di Palazzo Grassi, nel 1986: meglio, ma ancora lontana dalla verità), e infine chi ritiene che la parabola del Futurismo si sia protratta sino alla morte del suo fondatore, Marinetti, nel 1944 (pochi adepti, ma in crescita). C’è poi il discorso dell’eredità del Futurismo, cioè delle avanguardie che dal Futurismo hanno pescato a piene mani: sia ammettendolo, quale omaggio storico, ma molto più spesso non riconoscendolo.
Bene, alla GAMeC di Bergamo (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea) si rende conto di tutto questo con duecento opere che illustrano come il Futurismo abbia rappresentato una rivoluzione in grado di influenzare l’arte moderna e contemporanea di tutto il secolo XX. La mostra, curata da Giacinto Di Pietrantonio e Maria Cristina Rodeschini Galati, intende affrontare, attraverso il lavoro di 120 artisti, gli influssi esercitati dal Futurismo sugli sviluppi dell’arte visiva del ’900 per giungere alle più recenti ricerche contemporanee. Dalle opere degli esponenti storici del Futurismo (Boccioni, Balla, Carrà, Russolo, Severini, Depero, Prampolini ed altri) si procede verso ricerche artistiche cui il Futurismo ha aperto la strada: dall’Astrattismo al Costruttivismo, dall’Arte cinetica alle neo-avanguardie degli anni ’60 e ’70 fino ai protagonisti dell’arte contemporanea (tra i quali Fontana, Warhol, Nauman, Pistoletto, Haring e Hirst).
Il concetto di base è grossomodo quello enunciato nel famoso manifesto di Balla e Depero «Ricostruzione futurista dell’universo», pubblicato nel 1915. Infatti, gli artisti del Futurismo credevano nella necessità di una radicale riprogettazione di tutto l’ambiente che li circondava.

Un assunto che li ha portati a concepire in modo nuovo ogni espressione artistica: musica, danza, fotografia, cinema, teatro, spazi dell’abitare, arredamento e architettura. Nell’esplorare la vastità di questo immaginario, la mostra «Il futuro del Futurismo» ne offre una ricca esemplificazione, proprio prendendo spunto dalle tematiche celebrate dal Futurismo come la velocità, la tecnologia, la simultaneità, il dinamismo della metropoli, la ribellione e lo scandalo.
Gli spazi della GAMeC sono stati perciò suddivisi in nove sezioni secondo un itinerario storico (dai Futuristi a oggi) che si articola per accostamenti, analogie e differenze. Si va dal «Futurismo rivisitato» (da Boccioni a Schifano) a «L’energia metropolitana» (da Sant’Elia a Fuksas), da «L’anarchia della tradizione» (da Carrà a Bukovskji) a «L’estetizzazione della politica» (da Marinetti a Cattelan), da «La società dello spettacolo» (da Depero a Warhol) a «L’umano troppo umano» (da Prampolini a Gilbert & George), da «Al tempo con la tecnica» (da Balla a Enzo Mari) a «La vita che corre» (da Roberto Baldessari a Sandro Chia).
E infine l’ultima sezione, «L’immaginazione senza fili», che prende in prestito parte del titolo di un manifesto di Marinetti del 1913. Vi sono presentate opere video che invitano alla riflessione sui media e sulla loro ricaduta estetica sulla società dell’informazione.
Il Futurismo fu il primo movimento che incorporò il tempo nell’espressione artistica sia sul piano dell’immagine sia nelle parole, nei suoni e nella rappresentazione.



In questo senso il video può essere considerato come l’unione dell’immagine e dello scorrere del tempo con cui esplorare l’attuale civiltà senza fili dove i dati-informazione viaggiano nell’etere alla velocità della luce.

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