Ricucci fa i conti con il crollo dei titoli Rcs

Il calo dei prezzi rende meno costoso l’acquisto dell’1% in mano a Gemina

Ricucci fa i conti con  il crollo dei titoli Rcs

Marcello Zacché

da Milano

Quali sono gli unici azionisti che esultano quando il titolo della loro società scende in Borsa? Quelli di Rcs. Non certo tutti, ma i maggiori sicuramente: quelli del patto di sindacato che controlla il 60% del gruppo. E ieri tifo da stadio: il titolo ha chiuso a 4,89 euro, in calo del 3%, portando fino al 13% il calo nelle ultime sette sedute e al 28% la flessione dal massimo di 6,7 euro toccato il 2 agosto.
Il punto è che più il titolo scende, più un altro azionista, Stefano Ricucci, è in difficoltà. E Ricucci è quello che da solo detiene più del 20% di Rcs, e che da aprile rappresenta la minaccia di un’Opa per potare via al patto di sindacato la società che controlla il Corriere della Sera. Ma con i titoli a 4,8 euro, Ricucci deve fare i conti con le banche (soprattutto Bpi) che gli hanno prestato gran parte dei quattrini utilizzati per la scalata ricevendo in garanzia gli stessi titoli Rcs.
Titoli che dunque, più i corsi perdono terreno, più indeboliscono la propria capacità di garanzia. Un esempio: se è vero che il valore di carico dei 150 milioni di titoli in mano a Ricucci è intorno ai 5,5 euro, ieri sera l’immobiliarista romano poteva contare su una perdita teorica di 90 milioni. Che si trasferisce, così com’è, alle banche. Le quali avrebbero già chiesto a Ricucci di integrare le garanzie per l’equivalente. L’interessato, per ora, fa come molti presidenti delle società di calcio dopo un brutto arbitraggio: «È in silenzio stampa», fanno dicono al quartier generale romano di Magiste»
Un Ricucci in questo tipo di difficoltà dissinesca la mina Opa. Non solo, ma con le azioni in caduta libera, anche un eventuale compratore, con il quale sarebbero in corso trattative condotte per conto di Ricucci dalla Livolsi & partners, si metterebbe a giocare al ribasso.
Ma c’è un altro motivo che non intristisce i grandi soci. Ed la cessione dell’1% di Rcs detenuto da Gemina. La società che fa riferimento a Cesare Romiti ha fatto filtrare da tempo che la partecipazione sarebbe in vendita, ma non a prezzi stracciati. Il 14 settembre scorso, nel corso dell’ultima riunione del patto, sembrava che il prezzo richiesto fosse 5,5 euro per azione, pari alla quotazione di allora.
Su quelle ipotesi gli altri componenti del patto (che, si ricorda, comprende 15 soci tra cui Mediobanca, Fiat, Generali, Ligresti, Della Valle, Intesa, Pirelli, Capitalia) si erano subito irrigiditi. Con le azioni che girano a 4,8 euro, anche la quota di Romiti crea meno pensieri. E potrebbe anche avviarsi verso quei 4 euro per azione che furono pagati allo stesso Romiti per l’altro pacchetto del 9% di titoli Rcs, venduti da Gemina l’anno scorso.


I soci scontenti del crollo dei corsi di Rcs, alla fine, sono dunque molto pochi: Tolto il 60% del patto e il quasi 21 di Rcs, e calcolando le azioni proprie che sono intorno al 2%, resta sul mercato una quota vicina al 17%. Di questa è possibile che una parte rilevante si in mano a fondi e ad altri che forse contavano su Ricucci. Con il risultato che il flottante di Rcs è stimato di poco superiore al 10%.

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