Riforma dell’articolo 18, salasso su contributi e atipici

Spunta l’ipotesi di un aumento con la benedizione dei sindacati. No di Confindustria

Riforma dell’articolo 18,  salasso su contributi e atipici

Roma - «La vera partita non è sull’articolo 18, ma su chi pagherà il conto della riforma. La diplomazia e le tattiche sono tutte concentrate sugli ammortizzatori. E lì gli schieramenti sono diversi. Sindacati e Confindustria da una parte, piccole imprese e professionisti dall’altra». La sintesi è di un sindacalista alle prese con la trattativa per la riforma del lavoro. Prima del tavolo decisivo con il ministro Elsa Fornero - che si terrà la prossima settimana - le parti sociali devono cercare una sintesi tra di loro.

Mentre la politica è tutta concentrata sull’articolo 18 (ieri l’Italia dei valori ha presentato una mozione per bloccare ogni cambiamento, con l’obiettivo dichiarato di stanare il Pd) Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Confindustria e cooperative da una parte, i piccoli di Rete imprese dall’altra, stanno parlando di soldi.
L’incontro clou si terrà lunedì e il problema è in primo luogo chi pagherà la cassa integrazione in deroga, quella che riguarda categorie escluse dalla cassa, finanziata fino a oggi con soldi pubblici. Così non può continuare, visto che il conto per le casse dello Stato è di circa due miliardi all’anno. Lo ha detto chiaramente il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua. Serve «una compartecipazione della spesa».

L’ipotesi che aveva già messo in allarme i piccoli, commercianti, artigiani e piccole imprese dei servizi, era quella di un contributo per la cassa integrazione simile a quello che pagano le grandi aziende, magari un po’ meno oneroso. Comunque un aumento del costo del lavoro.

Negli ultimi giorni si è fatta strada anche un’altra ipotesi. Quella di alzare ulteriormente i contributi previdenziali delle categorie che oggi versano meno rispetto ai lavoratori dipendenti. Già con la manovra di Natale è stato avviato un percorso che porterà l’aliquota media intorno al 24%, rispetto agli attuali 21,3. I sindacati vogliono che le aliquote di tutte le categorie siano portate al livello dei lavoratori subordinati, intorno al 33%. E ritengono importante alzare ulteriormente quelle dei parasubordinati che sono attualmente al 27%. In questo modo si potrebbe rendere più costoso il lavoro atipico e si potrebbe fare cassa per finanziare ammortizzatori per una platea molto più ampia di lavoratori rispetto a oggi. In questo caso anche Confindustria è contraria. Il governo per il momento non si esprime, ma il nodo risorse è inevitabile. Anche perché l’unico modo per fare digerire modifiche all’articolo 18, è proprio rafforzare il sistema dei sussidi.

Che la riforma comprenda modifiche all’articolo 18 è ormai dato per scontato anche dai sindacati. Ieri il ministro del Lavoro Elsa Fornero, ha sentito al telefono il segretario generale dell’Ugl Giovanni Centrella, che punta soprattutto a un accorciamento dei tempi della giustizia nelle cause per licenziamento. «È assurdo che si assista a dei reintegri di lavoratori dopo sette-otto anni».
Intanto prosegue l’iter del decreto liberalizzazioni.

Al Senato sono stati presentati 2.400 emendamenti.

Le richieste vanno dalla vendita libera dei farmaci di fascia C nelle parafarmacie, al ritorno delle competenze degli enti locali per le licenze dei taxi, fino al ritorno delle tariffe minime per gli avvocati. I partiti della maggioranza cercheranno di limitare il numero degli emendamenti per concentrarsi su alcune proposte di modifica più significative. Il governo non è comunque disposto a stravolgere il provvedimento.

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