da Roma
La fondazione Magna Carta mette attorno a un tavolo un agguerrito pacchetto di mischia composto da una ventina di giuristi. E uno dopo l’altro i professori, chiamati a raccolta da Gaetano Quagliariello, vanno all’attacco del ddl Gentiloni, snocciolando tutti i presunti profili di incostituzionalità contenuti nella legge di riforma del sistema radiotelevisivo.
I rilievi sono precisi e si soffermano su alcuni punti cardine. Innanzitutto l’esproprio sostanziale di quote di fatturato tutto o quasi concentrato su Mediaset. Una misura che, secondo i professori, si fa fatica a non definire «punitiva» e «mirata» e che fa decadere il principio dell’astrattezza della norma. In secondo luogo il peggioramento dell’efficienza del mercato, ottenuto attraverso l’intervento legislativo sulla leva dell’offerta. Senza dimenticare il diverso trattamento riservato alla pay per view, e al monopolio di fatto rappresentato da Sky. Tutti elementi che, secondo i giuristi, delineano con chiarezza il profilo di una legge «contra personam».
«Occorre una seria riflessione parlamentare bipartisan che, nella consapevolezza che il diritto di informazione è il presupposto stesso della democrazia, abbia la forza di respingere tanto le tentazioni di leggi ad personam quanto quelle contra personam» chiede Giuseppe De Vergottini, ordinario di Diritto costituzionale a Bologna. Gian Michele Roberti, professore di Diritto dell’Unione Europea alla Sapienza di Roma, non riesce, invece, a spiegarsi «come si possa circoscrivere al solo mercato dei ricavi pubblicitari la base su cui viene applicato il tetto del 45%. Il “perimetro”, infatti, non tiene conto di altre fonti come il canone o i ricavi da abbonamento pay-tv».
Nicolò Zanon, professore di Diritto costituzionale a Milano, ricordando anche le parole del presidente dell’Autorità antitrust, Antonio Catricalà, accende i riflettori sul modo in cui il ddl Gentiloni definisce la «posizione dominante» e smonta il punto di partenza della legge. «Nel diritto comunitario la posizione dominante è quella situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa è in grado di ostacolare il permanere di una concorrenza effettiva nello specifico mercato. Questo non è certo il caso italiano». Zanon, inoltre, denuncia la carenza di «astrattezza» della norma. E apre un altro fronte: quello della sostanziale impossibilità nell’applicazione della legge da parte di Mediaset. «Se si eccede la quota del 45% delle risorse pubblicitarie si cade in sanzione. Ma come si fa a sapere se si è vicini a violare questo tetto? La correzione si può fare solo ex post ma a quel punto si è già caduti nella sanzione».
Giuseppe Morbidelli, ordinario di Diritto amministrativo alla Sapienza di Roma, ricorda che «la posizione dominante non è vietata quando è raggiunta per meriti propri ma soltanto quando è frutto di un’intesa o di una concentrazione. Pertanto sanzionare di per sé la posizione dominante contrasta con i principi della nostra “costituzione economica”». C’è un altro aspetto che non convince Morbidelli, sempre dal punto di vista della possibile incostituzionalità della norma: la retroattività della legge, visto che si va «a incidere su una posizione di mercato già legittimamente raggiunta da un’impresa, obbligata a destrutturarsi senza neanche un indennizzo». Duro anche il giudizio di Ida Nicotra, dell’Università di Catania, per la quale «è più che intuitivo il contrasto tra il tetto del 45% e la garanzia della libera iniziativa privata consacrata nell’articolo 41 della Costituzione».
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