Stefano Filippi
Non è più solo, lex senatore Franco Debenedetti, nella sfida alla riforma tv del ministro Paolo Gentiloni che limita il fatturato pubblicitario, obbliga a trasferire due reti sul satellite, ritarda il passaggio al digitale e salasserà i duopolisti (secondo uno studio di It Media Consulting, la Rai avrà perdite per 65 milioni di euro e Mediaset per 103). Per la sinistra riformista e più libera da pregiudizi quel disegno di legge non è un totem intangibile né uno dei mulini a vento contro cui agita la penna il solo Don Chisciotte torinese, fratello di Carlo De Benedetti. Il quale, invece, potrebbe approfittare della vendita delle frequenze Rai e Mediaset per costituire il vero terzo polo tv, che avrebbe alle spalle il colosso politico-editoriale del gruppo Espresso-Repubblica e non più unindebitata holding pneumatico-telefonica (Pirelli-Telecom) o una multinazionale mediatica satellitare (Sky).
E non sono più soli nemmeno il centrodestra e il vertice di Mediaset. Laltro giorno Pier Silvio Berlusconi ha ripetuto alla Stampa che «non ha senso parlare solo di limiti alla pubblicità tv e non di tutte le risorse», compresi cioè il canone Rai e gli abbonamenti Sky. «Di questa cifra totale, Mediaset e Rai hanno una quota pari al 33-34 per cento e Sky del 29 - ha ricordato - quindi ci sono già tre player sul mercato con quote praticamente identiche. E anche nel resto dEuropa i principali player sono tre. Sarebbe quindi una legge vecchia, che non guarda al futuro». Considerazioni maltrattate ieri da Gentiloni: «Il vicepresidente di Mediaset difende i suoi privilegi, la sua è solo propaganda».
Ma le critiche del giovane Berlusconi sono le stesse che vengono da settori cospicui dellintellighenzia di sinistra. «Una legge che ritarda il futuro», titolava il Sole 24 Ore unanalisi di Debenedetti, che in dieci giorni è tornato altre due volte sulla questione («Una legge vessatoria per la sola Mediaset», era il titolo dellultimo articolo). «Il mondo a cui guarda Gentiloni è solo lanalogico. Il suo vero obiettivo è normare il passato, non disegnare il futuro, e levare risorse a Rai e Mediaset», ha argomentato lex senatore della Sinistra indipendente. «Nemmeno contro At&t e Microsoft si è intervenuti con lo strumento della legge, nessuna autorità ha posto limiti quantitativi ai fatturati raggiunti per crescita interna». Il governo «distorce il mercato» perché «impone un limite solo a chi deriva tutti i propri ricavi da vendita pubblicitaria (Mediaset) lasciando indenni i concorrenti che hanno ricavi da unimposta di scopo (Rai) o da abbonamenti (Sky)».
Argomenti analoghi da Lorenzo Pellicioli, manager vicino al centrosinistra, amministratore delegato della De Agostini dopo essere stato il «papà» di La7 (acquistò Tmc da Cecchi Gori quandera presidente di Seat-Pagine Gialle). Per Pellicioli la Gentiloni «non crea le condizioni per la nascita e la sopravvivenza di un terzo polo» e «non è in grado di aumentare il tasso di competizione del mercato pubblicitario: la riduzione dellaffollamento rischia di far aumentare i prezzi praticati da Mediaset e le risorse liberate potrebbero andare ad aumentare i prezzi Rai». Mediaset, operatore privato di cui Fininvest possiede solo il 38 per cento, «si è conquistata con merito una posizione dominante e qualunque ulteriore intervento sarebbe illiberale e inaccettabile per il mercato». Anche il Manifesto ha sottolineato le «poche luci e tante ombre nel disegno di legge sulla Tv» con Ottavio Grandinetti, docente di Diritto dellinformazione a Udine. Persino Michele Santoro ha confessato: «La Gentiloni mi ha deluso».
La conferma che la bozza del ministro delle Comunicazioni è una legge del tubo (catodico) arriva proprio dai due giornali di De Benedetti. SullEspresso Edmondo Berselli, direttore della rivista del Mulino, ha scritto che «la timida riforma serve solo a prendere tempo»: è «non indecente ma chissà quanto adeguata» per «limitare gli effetti distorsivi del duopolio senza che ciò appaia come una vendetta post elettorale». E su Repubblica Alessandro Penati ha aggiunto: «Essa guarda al mercato televisivo dallo specchietto retrovisore, concentrandosi su un settore ormai stagnante invece di accelerare la transizione verso il sistema dei media che si va delineando con chiarezza nel resto del mondo.
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