Riforma del welfare: cambia l’articolo 18 ma il Pd è in agguato

RomaLa riforma del lavoro è quasi legge. Al Pdl, in fondo, non piace, ma preferisce passi così per evitare di riaprire un vaso di Pandora che, visto il clima, potrebbe portare ulteriori peggioramenti per le aziende già alle prese con la crisi. Ieri l’aula del Senato ha votato quattro emendamenti (articolo 18, flessibilità in entrata, ammortizzatori sociali e politiche per l’impiego). Il governo, come previsto, ha messo la fiducia e l’ha incassata senza troppa fatica (246 sì e 34 no). Non hanno partecipato al voto l’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi e Marcello Pera. Una scelta, ha detto intervenendo in aula Sandro Bondi, che «deve fare riflettere».
Adesso il testo va alla Camera ma non è detto che il passaggio sia indolore. Da una parte c’è il governo che si rimette alle decisioni dei capigruppo, ma intende fare in fretta. Anche perché ieri dall’Unione europea è arrivato un messaggio chiaro: le priorità sono il pareggio strutturale dal 2013 e la riforma del mercato del lavoro. Il Pd, invece, punta a modificare il testo in più punti. Tra gli emendamenti, alcuni mirano ad allungare la durata dell’Aspi, il nuovo ammortizzatore sociale, meno generoso rispetto alla vecchia cassa integrazione, indennità di disoccupazione più generosa con gli atipici, ammorbidire l’aumento dei contributi degli autonomi che la riforma porta allo stesso livello dei lavoratori subordinati, intorno al 33%.
Il Pdl, che è il partito più critico nei confronti della riforma, paradossalmente preferisce che non si faccia niente. «Se dovessi modificare qualcosa - spiega Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro - vorrei che si modificasse tutto l’articolo 18, visto che secondo me la vecchia normativa era meglio di questa, confusa e inutile». Sul fronte degli ammortizzatori in entrata, il centrodestra è riuscito a «contenere i danni». È «stato fatto un ottimo lavoro al Senato, grazie al Pdl. Se dovessimo fare altre proposte di modifica, rischieremmo di riaprire tutto il pacchetto, con il rischio che la riforma peggiori ulteriormente». Conferma il presidente dei Senatori Pdl, Maurizio Gasparri: «Se l’avessimo fatta noi sarebbe stata diversa ma comunque rivendichiamo gli apporti migliorativi e condividiamo la necessità di un’approvazione in tempi rapidi».
Se il Pdl vede un rischio sul merito, il governo teme più il calendario. Con un ulteriore passaggio al Senato, in caso di modifiche alla Camera, l’approvazione del ddl potrebbe slittare oltre le ferie estive.
L’impianto della riforma è comunque definito. Sull’articolo 18, non c’è il superamento dell’obbligo di reintegro, ma maggiore discrezionalità data al giudice. I casi in cui si potrà reintegrare un lavoratore in caso di quelli disciplinari, saranno definiti dai contratti. Per quanto riguarda gli ammortizzatori, arriva l’Aspi, che sostituirà la mobilità e il sussidio di disoccupazione. Sulla flessibilità in entrata c’è una stretta sui contratti a tempo e partite Iva che è stata ammorbidita dopo il pressing del Pdl in Senato.
A complicare l’iter della riforma del lavoro, anche il nodo esodati.

Ieri il presidente della commissione Lavoro Silvano Moffa ha incontrato i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil per trovare una soluzione «tecnica» per salvare una platea più ampia rispetto ai 65mila individuati dal governo. Il governo non si è pronunciato ufficialmente. Ufficiosamente la tesi è: «Basta che trovino la copertura». Difficile.

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