Il rigoroso giramondo che finì divorato

In missione per conto della Royal Society, usò il pugno di ferro per il suo equipaggio. Ma l’ultima avventura gli fu fatale: i selvaggi che lo stimavano ne fecero scempio

Fu l’antesignano degli odierni vacanzieri in Polinesia. Fece turismo sessuale a Tahiti. Scoprì le Hawai e la Nuova Caledonia. Ma fu soprattutto il prototipo di quei viaggiatori-scienziati che ispirarono a Jules Verne le figure di Phileas Fogg, del Capitano Grant, ecc.
Di straordinaria metodicità, il Nostro condensò la sua gloria in tre viaggi, di tre anni ciascuno, intervallati da un anno l’uno dall’altro. Si imbarcò sempre per conto della Royal Society, massima autorità scientifica britannica del Sette-Ottocento. Coi primi due viaggi fu messo alla prova. Poi, prima di partire per la terza e fatale avventura, la Society lo premiò per le molte scoperte, nominandolo socio effettivo con la qualifica di «scienziato-astronomo».
Correva all’epoca la leggenda di una Terra Australis ricca e prospera. Ci si rifiutava però di identificarla con l’Australia, scoperta da oltre un secolo. Quel quasi continente pareva infatti troppo arido per coincidere con l’Eden immaginato dai fantasiosi cartografi. Tanto è vero che gli inglesi, anziché colonizzarlo, lo utilizzavano come bagno penale per la marmaglia nazionale. L’obiettivo del Nostro fu dunque verificare se esistesse effettivamente la fantomatica Terra Australis.
Fece il viaggio di esordio a bordo dell’«Endeavour» nel 1768 e stabilì come prima tappa Tahiti per osservare, come da incarico della Royal Society, il transito di Venere davanti al Sole. Man mano che la meta si avvicinava, la ciurma fremeva d’impazienza. L’isola era infatti famosa per la disponibilità delle sue donne. Da mille racconti si sapeva che le tahitiane si concedevano con fresco ardore e il pieno consenso dei mariti, dietro compenso di uno o due chiodi. Con un punteruolo (chiodo con manico per allargare fori) si poteva sperare in un intero gineceo. La piacevole faccenda preoccupava però oltremodo il capitano. Infatti, i marinai di una nave precedente, in un solo mese a Tahiti, avevano estratto dal loro bastimento punteruoli e bulloni in numero tale da comprometterne la stabilità. Il Nostro aveva portato con sé chiodi a barili ma con un obiettivo preciso: scambiarli con pesci, noci di cocco, cibi freschi e prevenire così lo scorbuto. Impartì perciò ordini severissimi che fece affiggere sull’«Endeavour»: non più di tot chiodi per ciascun marinaio e, una volta finiti, che si arrangiassero. Per chi sgarrava, cento frustate.
Il soggiorno ebbe però risvolti imprevisti. Vero che le donne si accontentavano di poco, ma gli uomini si rifacevano rubando a più non posso sulla nave. I tahitiani si dimostrarono di mano lunga e lestissima. Furono trafugati perfino gli strumenti astronomici. La piaga fu tale che il capitano si vide costretto a catturare i capi tribù, minacciando di passarli per le armi se non avessero restituito il maltolto. Per lo stress, il Nostro ebbe un attacco reumatico che lo paralizzò. A trarlo d’impaccio furono però le stesse tahitiane, quasi per compensare la scortesia dei mariti. Dodici di esse, enormi come sono spesso laggiù le donne, sottoposero il capitano a una robusta fisioterapia a suon di pugni, massaggi e stiramenti. L’uomo guarì in un quarto d’ora e la nave poté riprendere il mare, senza però trovare traccia della Terra Australis. Il Nostro rientrò in Inghilterra con 56 uomini dei 94 che erano partiti. Gli altri erano morti di tifo e di piaceri.
Il secondo viaggio lo portò nella Nuova Caledonia, del tutto sconosciuta. I luoghi erano quelli ideali per un Club de la Méditerranée: sole, verzura, frutteti. Le donne generose come le tahitiane, gli uomini onesti come trappisti. Mai un furto, nessun incidente. Per curare il Nostro da un devastante attacco di ulcera, fu ucciso e messo a bollire un grosso cane. Se ne ricavò un brodo che guarì il malato all’istante. Ristabilito, il capitano riaffrontò le onde e esplorò le regioni antartiche, raggiungendo i 71º di latitudine Sud. Tornò in patria con un nutrito rapporto per la Royal Society su iceberg e pack, ma della Terra Australis neanche l’ombra.
Stufo di cercarla, il Nostro partì per il terzo viaggio assegnandosi un nuovo obiettivo: trovare il «passaggio a Nord-Ovest», ossia il braccio di mare che univa a settentrione i due grandi oceani. Dalla parte dell’Atlantico non lo aveva trovato nessuno. Il capitano decise di tentare dal Pacifico. Risalì la California e la costa orientale di Usa e Canada. Giunto allo Stretto di Bering, in Alaska, a un passo dall’obiettivo, fu costretto a rinunciare per via dei ghiacci. Tornando indietro scoprì le Hawai. La popolazione era ostile e ladra. Una scialuppa fu rubata. Gli inglesi, per farsela restituire, catturarono il re dell’isola. Mentre rientravano, caddero in un agguato degli indigeni.
Il Nostro fu prima tramortito, poi massacrato con un rituale selvaggio. Il suo corpo fu divorato. Il cuore arrostito a parte e mangiato perché, essendo quello di un valoroso, avrebbe infuso coraggio a chi se ne cibava.

Alcuni hawaiani pentiti, o più umani, restituirono all’equipaggio le mani e le ossa più indigeste. Quando i resti furono gettati in mare avvolti in una vela, colui cui erano appartenuti aveva appena compiuto 51 anni.
Chi era?

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