È il rilancio del made in Italy ma frana il made in azzurro

Fumogeni per tutti e made in Italy per godersela. Facendo due conti poteva essere la partita del Brasil «meravigliao»: tre brasiliani (compreso Amauri) da una parte, tre dall’altra, i meno confortanti in maglia bianconera, i più decisivi sotto l’ala del Diavolo. Niente. Tutto da rifare. Juve e Milan hanno fatto in modo che stavolta, in qualche modo, fosse vero derby d’Italia. No, un attimo sennò qui Lippi potrebbe fraintendere. Questo è stato derby da made in Italy, perché il made in Italia (leggi nazionale) poi è franato con Cannavaro e Grosso. Made in Italy perché i fumogeni sono cosa nostra e a Torino non se li sono fatti mancare, nonostante i divieti polizieschi. Poi l’attesa: grandi promesse, per lungo tempo annacquate nel solito vorrei, ma non posso.
Finché non è spuntato Nesta e con lui quel made in Italy che ci piace tanto e magari ci inorgoglisce. Mozione dei sentimenti per il giocatore che ha detto di desiderare il mondiale, ma di aver fatto un patto con se stesso: «Non ci vado per non togliere il posto ad altri». E visto ieri sera, non ha tanto da temere Chiellini, un altro che ci ha rallegrato. Lui sì, vero custode del nostro made in Italy pallonaro: solido, reattivo, grintoso, puntuale, come i difensori vecchio stile, quelli che hanno fatto diventare grande il nostro presunto catenaccio dei tempi eroici.
Ecco, visto Cannavaro e vista la coppia Chiellini, da una parte, e Nesta dall’altra, pensiero e idea corrono spontanee a chiedere l’ultimo sacrificio al glorioso capitano: fatti più in là e lascia il posto a Nesta. Speranza ultima, e forse vana.
Però non siamo i soli a pensarlo: quando Nesta ha sfruttato lo svarione di routine dell’inesorabile Felipe Melo, sulla tribuna dell’Olimpico è stato issato un cartellone. Diceva: «Nestasiati». E chi mai poteva pensarla diversamente? Nesta oggi è uno dei migliori prodotti del nostro prodotto interno calcistico: dato per finito (anche questo è un vizietto che ci piace tanto e non ci togliamo mai), in questo anno è risorto, lasciando tutti ad occhi sgranati. E ieri la Juve a occhi bassi, quando calciato da Pirlo, socio suo nel gioco e predicatore appassionato nel tentare di convincerlo a tornare in azzurro, il pallone l’ha quasi cercato per farsi mandare in gol, irridere Melo e la Juve.
Sì, il nostro made in Italy ci ha divertito, se non inorgoglito. Diego che si danna, ma poi è molto meglio veder giocare Marchisio. Melo che fa danni e allora ringrazi di aver due ragazzi di scarso pedigree come Abate e Antonini. Alla faccia di Dunga e della nazionale brasiliana. Gattuso e Ambrosini non ti abbandonano mai. Anche se il ringhio ora ha voce rugginosa e il Capitan Fracasso rossonero sta inseguendo un perché decente al fatto che Lippi non lo voglia tra i piedi. C’è Borriello che si danna e ti racconta di essere molto più vivo rispetto a quel Amauri, che era lì, forse in attesa di passaporto, più che di palloni da gol. Certo, ti fa invidia Thiago Silva, che nel clan dei brasiliani ha la faccia migliore. Ma ti consoli pensando che il made in Italy comprende anche Pirlo, unica salvezza per il decadente (ieri sera) made in Italia.
Ed allora Juve e Milan ci hanno dato la lezione che il gioco, forse, non è riuscito ad illustrare: divertimento scarso, qualità delle azioni altrettanto, ma se Beckham, Ronaldinho, Diego e Melo sono costati tanto ed hanno soddisfatto poco, tanto vale gustarci l’arte difensiva nostra che Chiellini e Nesta hanno onorato. Senza dimenticare che quando vanno nell’area altrui hanno il colpo da killer.
In tal contesto di godibilità tutta nostra, c’è stata bene pure la chicca Del Piero. Durante l’intervallo Sky aveva domandato ai suoi telespettatori cosa servisse alla Juve. E la gran parte dei responsi ha detto: Del Piero. Vabbè, soliti romantici che non si danno per vinti. Ma anche questo è made in Italy: non rassegnarsi mai al dimenticare in panca i nostri eroi. E quando Del Piero è entrato, è stato tutto un sospiro in attesa di veder la giocata che vale il biglietto o la punizione di qualità. Forse era chieder troppo.
Che dire, il made in Italy ha voluto dir la sua fino all’ultimo: Ronaldinho ha provato a lasciar segno con la sua qualità, ma per farla franca c’è voluto anche il testolone di De Ceglie. E chissà quanti si saranno ripetuti per l’ennesima volta: ti ricordi Niccolai? Già, anche quello è un nostro marchio di qualità (si fa per dire). Come quell’altro: nello stadio, gli sconsolati hanno cominciato a bruciar sedili. Son seguiti i cori di scherno e le minacce: «Toglietevi la maglia», «Veniamo con i bastoni». La solita fantasia al potere.
E che dire dell’allenatore sconfitto? Pure lui un simbolo, se volete, delle ultime stupidaggini nostrane che pensano di poter mettere una grande squadra in mano a un esordiente, lasciato solo.

L’italiano Ferrara tornerà a quelli meno graditi fra i nostri usi e costumi: contestato e con la valigia in mano (ma lui dice: «Non rischio il posto»). C’è anche Zoff che attende davanti alla porta di casa Juve. Ultima trovata, guarda caso, di un made in Italy che non scolorisce mai.

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