Roma Il tira e molla va avanti tutta la giornata, tra incontri e trattative riservate. E alla fine la spuntano i tre coordinatori nazionali - Verdini, La Russa e Bondi - che portano a casa il voto unanime dell’ufficio di presidenza del Pdl sulle «Linee guida della campagna congressuale 2010/2011». Una vittoria pesante, visto che i quattro ministri di Liberamente - Frattini, Gelmini, Carfagna e Prestigiacomo - nel pomeriggio avevano anche pensato di chiedere di rinviare il voto per «avviare una più ampia riflessione». E forse non è un caso che il titolare della Farnesina - seppure senza alcun accenno polemico quando incrocia i cronisti per strada - decida di lasciare via del Plebiscito mentre la bozza da approvare è ancora in fase di discussione (e lo stesso farà Vito).
L’ordine di scuderia è quello di non aprire alcuna polemica in pubblico. Ma l’umore della pattuglia di Liberamente non è dei migliori. Soprattutto dopo la riunione che si tiene nel tardo pomeriggio a via Poli, sede dei Club delle libertà di Valducci. Con una trentina di parlamentari - quasi tutti deputati - che non nascondo malumori e fastidi per come saranno gestiti i congressi regionali, provinciali e comunali che si annunciano per i prime mesi del 2011. Sono in tanti a lamentarsi perché - è il senso di molti interventi - «avevamo sperato davvero di dare un sterzata». Invece, è l’obiezione, le nuove regole di convocazione dei congressi cambiano poco o nulla negli equilibri interni del partito. Il punto è che i coordinatori provinciali e regionali saranno indicati da un assemblea di eletti (parlamentari, eurodeputati, consiglieri, sindaci e via dicendo) e non dai tesserati. Cosa che non piace neanche all’area «sociale» ex An, tanto che Alemanno e Meloni manifestano il loro disappunto durante un pranzo a porte chiuse con La Russa e Gasparri. Anche perché per i coordinatori regionali c’è lo sbarramento del 75%: se non si raggiunge la soglia l’indicazione spetta al presidente del partito (cioè Berlusconi) che può nominare uno dei tre candidati con più voti. Senza considerare il cosiddetto «voto ponderato» per i provinciali. Nel senso che nelle assemblee elettive il voto di un deputato e di un consigliere comunale avranno un peso diverso.
Tutti meccanismi, questi, che danno ai vertici di via dell’Umiltà un forte potere d’interdizione, visto che più gli eletti sono «pesanti» e più sono in rapporti stretti con il partito. Ma che permettono anche a Berlusconi di gestire in prima persona la delicata fase di «democratizzazione» del Pdl. La regola dello sbarramento, spiegano i coordinatori, ha infatti l’obiettivo di evitare che il partito possa essere fagocitato dall’una o dall’altra corrente perché è chiaro che nell’eventuale indicazione di quei candidati che non raggiungono il 75% il Cavaliere terrà anche conto degli equilibri interni.
Per questo i coordinatori sono convinti che si sia posto un altro «mattone» nella costruzione del partito. Perché, è il ragionamento di Verdini e La Russa, la proposta votata «è più democratica dello stesso statuto del Pdl» che prevede che i coordinatori regionali siano di nomina del presidente. Considerazioni che non convincono buona parte dei parlamentari riuniti nel pomeriggio a via Poli, alcuni dei quali si ritrovano anche a cena. Ci si aspettava un cambio di rotta più deciso. Che tradotto dal politichese per molti significava la testa di Verdini, La Russa e Bondi. Berlusconi, invece, ha deciso di prendere una posizione netta, ha elogiato i Team della libertà («Brambilla ha già reclutato 50mila militanti, Mantovani 70mila e Santanché 150mila») e ha applaudito Cicchitto quando il capogruppo del Pdl alla Camera ha condannato le «cene carbonare» delle ultime settimane e ha invitato tutti a non farsi «guidare dal fegato» con il Fli visto che «tra loro c’è una forte spaccatura».
Il rischio, però, è quello che paventava il deputato del Pdl Moles durante l’incontro di Liberamente: «Dobbiamo evitare che arrivi la frana...».
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