Le donne sono algide e longilinee, rosate e ammiccanti, con faccine naîves e curiosi cappelloni. Ben diverse dalle Veneri ed eroine nostrane, morbide e seriose. Ma le figure femminili di Lucas Cranach (1472-1553) hanno il fascino sottile del nord Europa, che pure ha influenzato la nostra pittura. Basta pensare a certi piemontesi del ’400, emiliani, a toscani e bergamaschi del primo ’500, per coglierne le affinità con i nordici: appartengono a due «Rinascimenti», uno legato all’antichità classica, l’altro al nord, con radici incompatibili, ma comuni iconografie, prestiti e debiti.
A proporre il confronto è la mostra romana (Galleria Borghese) «Lucas Cranach. L’altro Rinascimento», la prima dedicata in Italia al grande artista tedesco. Una rassegna che riunisce una cinquantina di dipinti e alcune stampe, provenienti da vari musei e collezioni, mettendoli a confronto con oltre venti opere di pittori come Pinturicchio, Tiziano, Jacopo Palma, Raffaello e altri. Figure mitologiche, ritratti, scene di genere, allegorie, opere sacre, sfilano per profilare «l’artista di corte», i «volti delle persone», il «potere delle donne», la «fede», la «sensualità femminile»: cioè la società in cui visse Cranach.
Nato a Kronach, nell’Alta Baviera, l’artista compare trentenne sul panorama pittorico tedesco. Da Vienna, dove si trova nel 1502-1503, è chiamato dall’elettore di Sassonia Federico il Saggio come pittore di corte a Wittenberg. Nella cinquantennale attività nella città tedesca al servizio di tre elettori, Cranach deve occuparsi di tutta l’arte della corte, dagli apparati all’arredo dei castelli, dalle vetrate alle tavole dipinte, dalle pitture murali ai tessuti. Crea perciò una grande azienda da cui escono decine di opere con nuove iconografie e un linguaggio fortemente espressivo, arricchito da contemporanee esperienze nelle Fiandre e da una conoscenza indiretta dell’arte italiana: soggetti amorosi, moraleggianti, mitologici (Famiglia del fauno, 1526 circa, Bacco ed il tino di vino, 1530), Veneri, Lucrezie, Giuditte, ispirate a esili cortigiane, nude o vestite con ricercatezza. La composta Giuditta con la testa di Oloferne del 1526, giunta da Kassel, per nulla turbata dopo aver tagliato il capo al generale, sfoggia un cappello di velluto in linea con il ricco abito: iconografia lontana dalle cruente Giuditte nostrane, mentre la selva di fauni e Bacchi trova parallelismi nella pittura toscana del ’500.
Le donne di Cranach, sensuali e garbate, con veli così leggeri da far trasparire anche le più piccole pieghe del pube, «tiravano» sul mercato tedesco ed europeo. La fascinosa Venere e Amore, con quest’ultimo che reca il favo di miele rubato, punzecchiato dalle api, della stessa Galleria Borghese, era già nel 1611 nella collezione romana di Scipione Borghese, come rivela un documento inedito riemerso proprio per l’occasione. Tra i generi affrontati da Cranach e bottega c’erano i ritratti, replicati a decine, secondo un metodo che sarà tipico della ditta di Rembrandt. Con fine realismo e forza psicologica sono resi Federico il Saggio di Sassonia e L’imperatore Carlo V. Ma già dal periodo viennese, con il Ritratto di Johannes Cuspinian e della moglie Anna, entrambi del 1503 circa (assenti), Cranach innova la rappresentazione del paesaggio eliminando le barriere architettoniche sullo sfondo e preparando, nella sua terra, il passaggio al «paesaggio autonomo».
Un altro aspetto innovativo, quello religioso, non poteva mancare nella città in cui nel 1517 Lutero affigge le sue tesi alla porta della Schlosskirche. Amico del monaco agostiniano che ritrae più volte con la moglie Katharina von Bora, e di cui è testimone di nozze, Cranach ne diffonde le idee attraverso un nuovo immaginario, sfidando la chiesa di Roma, per la quale continua però a lavorare intensamente attraverso il cardinale Alberto di Brandeburgo. Ma Cranach era un artista...
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LA MOSTRA «Cranach. L’altro Rinascimento». A Roma, Galleria Borghese. A cura di Bernard Aikema e Anna Coliva (sino al 13 febbraio 2011, catalogo 24 Ore Cultura - Gruppo 24 Ore). www.mondomostre.it.
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