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Rio Tinto contro Pechino, la guerra globale si sposta in Namibia

Arresti prima in Cina, poi in Africa: dietro c'è lo scontro planetario per il controllo delle materie prime.

La notizia è passata quasi inosservata ai grandi mezzi di informazione, come la maggior parte delle notizie che arrivano dal continente africano. Ma la destituzione giovedì scorso in Namibia di un generale ha fatto rizzare le orecchie a quella comunità internazionale vasta ed oscura che si occupa delle nuove frontiere dell'intelligence: non più per conto dei governi ma dei colossi dell'economia, veri signori dello scacchiere planetario. Perchè l'ipotesi che gli analisti più acuti stanno avanzando è che a travolgere l'ufficiale namibiano non sia una banale storia di corruzione locale, ma l'eco - a migliaia e migliaia di chilometri - dello scontro scoppiato tra il governo cinese e gli australiani di Rio Tinto, una delle maggiori compagnie minerarie del mondo, che ha visto quattro suoi manager (tre cinesi e un australiano) finire in cella su ordine della magistratura di Shangai con accuse molto gravi (specie in un paese dove per corruzione si infligge spesso la pena capitale).
Gli arresti in Cina scattano il 5 luglio: a finire in carcere è tra gli altri Stern Hu, numero uno di Rio Tinto in Cina. L'accusa, è di avere messo in atto un chiaro «tentativo di influenzare il prezzo» dell' acciaio acquisendo «segreti di Stato e ricattando funzionari e manager» di sedici grandi imprese. La stampa cinese scatena una campagna contro la Rio Tinto, il «China Daily» rivela che i quattro arrestati sono accusati di avere corrotto anche tutti i membri dell'associazione dei produttori metallurgici. La Rio Tinto viene accusata dai media governativi di essersi impadronita di segreti di Stato mettendo in pericolo la sicurezza nazionale. É la prima volta che i rappresentanti di una potenza economica occidentale in Cina vengono colpiti con simile durezza, dietro c'è lo scontro sul prezzo delle materie prime e sulla loro trasformazione. La compagnia australiana, per evitare guai peggiori, ordina il ritiro di tutti i suoi analisti dalla Cina.
Mentre si muovono le diplomazie per cercare di liberare i quattro arrestati, o almeno di far cadere l'accusa di spionaggio, la Rio Tinto non sta con le mani in mano. Il 23 luglio il presidente della Namibia, Hifikepunye Pohamba, annuncia di avere rimosso dall'incarico il capo di stato maggiore per un'accusa di corruzione da parte della Nuctech, un'azienda cinese che fornisce materiale bellico all'esercito locale. Tre persone - tra cui un cittadino cinese - erano stati indagati per corruzione sei giorni prima.
Il problema è che la Nuchtec non è un'azienda qualunque. Alla sua guida siede Hu Haifeng, figlio del presidente cinese Hu Jintao. Colpire la Nuchtech, insomma, vuol dire il governo di Pechino. Perchè la Namibia va all'attacco? Secondo Stratfor, uno dei siti più autorevoli di intelligence indipendente, dietro la decisione di Hifikepunye Pohamba ci sono le pressioni degli australiani di Rio Tinto, che in Namibia sono una sorta di governo ombra visto che controllano al 69 per centro la miniera di uranio di Rossing che è la quinta miniera di uranio del mondo, produce l'8 per cento dell'uranio del pianeta e costituisce di gran lunga la principale ricchezza del paese africano.
Vero o non vero? Di sicuro c'è che appena tre giorni prima dell'annuncio, Hifikepunye Pohamba aveva visitato la miniera di Rossing su invito dei vertici della Rio Tinto, e questo è sembrato a molti un segnale esplicito di sostegno al colosso australiano. Ma per capire cosa stia davvero accadendo, dicono gli analisti, bisognerà attendere la prossima mossa del governo cinese.

Il braccio di ferro, insomma, continua.

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