Se qualcuno oggi tenta ancora di accennare alla questione del pudore, è sicuro di rischiare il ridicolo e il compatimento. Il ridicolo perché ormai il problema è da collocare tra i ferri vecchi della morale. Il compatimento, perché il tema espone quasi inevitabilmente a discussioni che non sembrano avere più né incidenza né valore. Ciascuno si veste come vuole. Se manca di fantasia, si può ricorrere alle riviste di moda che di solito non sostano molto a descrivere le fettucce dei veli delle monache. Anzi, sembra assodato che una foggia di vestito è attuale quando mostra più pelle possibile: e non è detto che ci si accontenti della pelle. Una ragazza che voglia finire in copertina arrivi al limitare dellallusivo della genitalità; il resto lo lasci immaginare, anche perché non è detto che il nudismo sia molto attraente: presenta anzi un qualche aspetto di repellenza che riesce a far capire non solo i virtuosismi delle case di moda, ma perfino quella pagina della Genesi dove i progenitori si nascondono tra il fogliame dellEden: «Si accorsero di essere nudi». «Chi vi ha detto che eravate nudi?».
Il problema rimanda a una concezione globale della persona. Lo si voglia o no, linterrogativo circa il pudore interpella il modo di impostare la persona in se stessa, nei suoi rapporti con gli altri, nel suo adattamento o nel suo contrasto con gli schemi di vita imposti dalla macchina del consenso: sono le agenzie manipolatorie a suggerire i tagli di vestiti, e tutto un modo di impostare lesistenza: dal tono della voce alla capigliatura, alluso dei cosmetici, allandatura di chi cammina ancheggiando o erigendosi come un gendarme: anche la Wehrmacht aveva un suo stile.
In astratto si possono ipotizzare una funzione protettiva del vestito e delle fogge di porsi; vè poi una funzione distintiva dellabbigliamento e della postura del soggetto; si può vedere lintento di attrarre lattenzione su se stessi, magari per fissare lattenzione su aspetti seduttivi che vogliono captare, concentrare, rapinare la capacità di comprensione su aspetti che conducono quasi inevitabilmente a una sessualità non sempre ordinata. In positivo, queste e simili considerazioni conducono allesigenza del rispetto della persona propria e altrui. Una ragazza crede di rendersi attraente per labito che porta, ma può non accorgersi che in questa scelta è nascosta tutta una concezione dellio e della società.
Sembra anche inevitabile un accenno di riflessione alla parola di Dio. Perché la nudità crea difficoltà dopo il peccato, mentre lascia in un equilibrio perfetto gli innocenti? La risposta la si ha quando si riflette sul fatto che la persona e la coppia non dipendono più da Dio. Ciò chiede di proteggere lio umano almeno negli aspetti più intimi legati alla comunione coniugale e allapertura alla fecondità. Tantè che proprio quando si rompe il rapporto con il Creatore - con Cristo per i fedeli -, insorge quasi distinto e insopprimibile la volontà di possedere laltro o di essere posseduto dallaltro. Si passa dallamore alla rapina. Dopo di che si persista ancora nel ridurre il tema del pudore a un capitolo di moralismo degenerato. Significa soltanto che non si è capito la chiave della Creazione e della Redenzione.
Se così stanno le cose, è intuibile che il discorso sul pudore divenga tema diversivo dei grandi problemi che la persona umana creata e redenta porta in se stessa: lautodominio della componente affettivo-sessuale, lorientamento alla completezza matrimoniale, la donazione a Cristo e alla Chiesa nella consacrazione verginale. Battaglia dura e lunga, se si vuole riportare luomo e la donna alla loro vera dignità ontologica e religiosa. Motivo di comprensione perché il Magistero ecclesiale non si lascia travolgere dalle correnti culturali poco o tanto disumane.
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