E adesso pover’uomo? (come recitava il bel titolo di un’opera di Hans Fallada), come la mettiamo? Dobbiamo considerare il voto in Sicilia una devastante mazzata per il governo, per il centrosinistra, per Leoluca Orlando Cascio stracciato da Cammarata ma più che altro per il pover’uomo Prodi, oppure dobbiamo minimizzare? Come abbiamo sempre sostenuto, la Casa delle Libertà non è mai morta per gli elettori e quando si presenta unita vince. Il 28 maggio con il secondo turno la CdL darà probabilmente cappotto in Sicilia e altrove alla coalizione che governa a Roma. Certo, le amministrative non sono le politiche e i numeri non possono essere trasferiti come pacchi da un contesto all’altro. Ma quando il risultato di un’elezione è così netto, il significato politico lo è altrettanto e tradotto vuol dire che Prodi oggi non ha una maggioranza nel Paese come in Senato e dovrebbe trarne le conseguenze. Ricordiamo il «beau geste», aristocratico e onesto, con cui Massimo D’Alema, visti i risultati delle elezioni regionali durante il suo governo, andò al Quirinale per dimettersi. Prodi non ha la stoffa ed è attaccato alla poltrona e non lo farà perché ha accettato fin da subito di vivere alla giornata e mettendo il Parlamento in vacanza, specialmente il Senato che ormai lavora uno o due giorni alla settimana, per tre settimane al mese e anche meno.
Il Presidente della Repubblica, che certamente non può imporre al governo di fare le valigie sulla base di un risultato amministrativo per quanto importante, non può e certamente non vorrà trascurare il valore nazionale del risultato siciliano in attesa di quello che succederà con gli altri risultati elettorali di maggio. Sembra dunque che la storia si ripeta come raramente accade: abbiamo già vissuto lo stesso processo di crollo delle sinistre durante la legislatura 1996–2001 che si concluse con la travolgente vittoria della CdL.
Naturalmente siamo anche consapevoli che nella legislatura successiva accadde l’inverso: una serie ininterrotta di rovesci corrose il vantaggio della CdL fino al pareggio truccato dell’anno scorso, ma la CdL aveva comunque un tale vantaggio di partenza che anche l’emorragia non riuscì a distruggere il suo zoccolo duro. La sinistra invece a quanto pare è un ronzino che corre senza zoccoli, destinato quindi ad azzopparsi. Tutto ciò spiega l’accanimento della sinistra contro Berlusconi il quale è il garante di una possibile vittoria nazionale della coalizione e che proprio per questo viene spudoratamente aggredito con l’assurda legge Gentiloni da una parte (che, caso unico nella storia delle democrazie liberali, pone un limite ai profitti aziendali) e con quella del conflitto di interessi dall’altra, concepito come una forma di apartheid per censo.
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