Ritiro dall’Irak, nell’Unione ormai è guerra

Cento: «Nessuna mediazione, vanno rispettati gli impegni coi nostri elettori»

Ritiro dall’Irak,  nell’Unione ormai è guerra

Laura Cesaretti

da Roma

Tocca a Piero Fassino, il primo a dare con chiarezza il via al riposizionamento del centrosinistra sull’Irak, argomentare la scelta cercando di smussare le divergenze che si sono immediatamente accese nella coalizione e nel suo stesso partito.
Il segretario della Quercia ha dedicato alla questione buona parte del suo intervento di ieri al Consiglio nazionale della Quercia, spiegando che «far rientrare le truppe è nei nostri propositi», e che «riteniamo ci siano le condizioni perché, all'indomani delle elezioni, si presenti al Parlamento un calendario del ritiro». Nessun mutamento di opinione, avverte: «Non abbiamo cambiato il giudizio sulla guerra e sul dopoguerra. Ci poniamo il problema di aprire una nuova fase». Ma attenzione a non parlare in modo «irresponsabile» di ritiro «immediato», come fa quella parte della sinistra che si è inalberata per la cauta virata dei leader ulivisti. «Siccome non abbiamo nessun interesse affinché l'Irak faccia un salto indietro rispetto ai progressi politici fatti nel 2005 - spiega Fassino - e nessuno credo sia così irresponsabile da pensare che non ci interessi in che condizioni lo lasceremo, è del tutto evidente che, una volta deciso il rientro, le modalità con cui realizzarlo verranno discusse con le autorità irachene». Sono state le stesse autorità di Bagdad, aggiunge, ad aver «sottoposto agli Stati Uniti l'ipotesi di una riduzione consistente della presenza militare americana nel 2006», come hanno fatto presente «a me e a D’Alema» negli incontri di questi giorni con Jalal Talabani.
Un riconoscimento alla «responsabilità» della nuova linea di ds, Margherita e Prodi sull’Irak arriva dalla leader radicale Emma Bonino: «Sono in ballo i destini di milioni di iracheni, e siccome nessuno sta lì per occupare, l’eventuale ritiro si deve concordare e negoziare con il legittimo governo e naturalmente con gli alleati. Mi pare che Prodi e Fassino siano arrivati su queste posizioni». Con il leader dei Ds si schiera Clemente Mastella. «No al rientro immediato - dice - noi che abbiamo sempre votato a favore della permanenza italiana in Irak crediamo che tutto vada concordato con il governo democratico iracheno per evitare l'aggravarsi di una situazione già drammatica».
Ma nella sinistra dell’Unione le reazioni sono assai nervose. I Verdi, avverte Paolo Cento, stanno «valutando l’opportunità» di presentare una nuova mozione per il ritiro immediato: «Non ci sono mediazioni possibili, il centrosinistra deve rispettare gli impegni presi». E un invito alla «coerenza» arriva anche da Armando Cossutta. «È singolare e grave il fatto che mano a mano ci si avvicini a ipotesi di un governo alternativo si prendano posizioni più simili a quelle del governo Berlusconi», denuncia il capogruppo di Rifondazione Franco Giordano.

Ma dentro il partito, la minoranza vetero-comunista punzecchia l’eccessiva morbidezza di Fausto Bertinotti, che certo tiene il punto sul ritiro ma non pare intenzionato ad aprire su questo vertenze con Prodi: «Bisogna avere il coraggio di porre condizioni programmatiche minime, senza le quali non si capisce cosa andrebbe a fare al governo il Prc», avverte Claudio Grassi.

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