Allora erano all'avanguardia. Il bello è che lo sono ancora oggi, quarant'anni dopo. Lo spirito dei CCCP - Fedeli alla Linea rappresenta il decalogo della libertà musicale e oggi, al tempo dell'omologazione obbligata, non ha perso neanche un grammo della sua originalità nonostante l'ultimo disco sia del 1990 (Epica Etica Etnica Pathos) e dopo per decenni i componenti del gruppo si siano parlati a stento. Una forza creativa così grande che oggi si prova a fotografarla nella mostra «Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla Linea 1984-2024» dal 12 ottobre ai Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia. L'istantanea di un'epoca.
Eccoli, intanto, gli attori di un gruppo che il grande pubblico conosce solo di sfuggita ma che i musicisti e gli artisti italiani (ma non solo italiani) conoscono molto bene. Dunque Giovanni Lindo Ferretti, 70 anni a settembre, oggi ha i baffoni alla Lemmy dei Motorhead ed è uno degli spiriti liberi più liberi in circolazione. Massimo Zamboni è il musicista che ha scritto il Dna del rock alternativo italiano. Annarella Giudici è la «benemerita soubrette» della band. E Danilo Fatur è l'«artista del popolo». Un gruppo a geometria variabile (in sostanza un via vai continuo di musicisti e performer) che in quattro dischi e centinaia di concerti dal 1984 al 1990 è diventato un unicum irripetibile. Presentavano la loro come «musica melodica emiliana» o «punk filosovietico» in un momento nel quale in classifica andavano i Duran Duran e portavano sul palco una commedia dell'arte spigolosa, a tratti respingente, volutamente respingente, e scintillante di intuizioni, malinconia, anche poesia. Ferretti e Zamboni si erano conosciuti a Berlino. Il giorno dopo Ferretti, che era stato operatore psichiatrico vicino a Lotta Continua, pensava di partire per un viaggio in Africa ma quella sera vide il chitarrista Zamboni ballare da solo in discoteca ascoltando un brano dei Doors. I CCCP iniziarono lì, il secondo nome Fedeli alla Linea viene da un famoso locale berlinese. «L'abbiamo fatto per salvarci la vita, per capire cosa fare in quel momento in cui hai finito di studiare, il mondo ti appare molto grande e sono molte le possibilità davanti a te, ma poche ti convincono», ha detto Zamboni a Repubblica. Il loro era punk nell'attitudine più che nei suoni. Erano canzoni asciutte che la voce di Ferretti asciugava ancor di più perché i testi lo obbligavano a farlo. Spara Jurij nasce quando i caccia sovietici abbatterono sullo spazio aereo russo un aereo coreano scambiandolo per americano: 269 morti. Jurij è Jurij Vladimirovi Andropov, l'allora segretario del Partito Comunista Sovietico e il testo è apparentemente nonsense nonostante viva di riferimenti e allusioni molto chiare.
I CCCP erano Fedeli alla Linea, ma la linea non c'era perché la loro poetica era lo sbriciolamento dei luoghi comuni, spesso politici, soprattutto politici, che allora dividevano il mondo in due. Non essendo di nessuna parte, i CCCP potevano prendersi libertà che nessun cantautore italiano avrebbe potuto prendersi e che nessun artista pop voleva prendersi. C'era un brano, Morire, con uno slogan diventato, come si direbbe oggi, «virale» nella scena punk europea: «Produci, consuma, crepa». Non a caso i CCCP sono diventati un simbolo del punk, dove per punk non si intendono i Sex Pistols ma i Dead Boys, Johnny Thunders, i seminali Buzzcocks. Piacevano ad Amanda Lear, che incise con loro una stralunata versione di Tomorrow, ma anche ad Andrea Pazienza (come conferma il film Paz!), all'indimenticabile Pier Vittorio Tondelli, a chiunque suonasse rock in Italia come i Litfiba o i Diaframma. Ma il grande pubblico italiano - leggasi il pubblico sanremese - non li conosceva. Come spesso accade agli apripista o ai casi isolati, c'è stato bisogno dell'aiuto degli altri. Ad esempio di Gianna Nannini, che nel 2004 ha inciso una bella e finalmente popolare versione della loro Amandoti, ultimamente cantata spesso anche dai Maneskin.
D'accordo, il primo, memorabile e inimitabile disco dei CCCP del 1986 rende l'idea del gruppo perché si intitola 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi (e nella mostra di Reggio Emilia ci sarà pure la scrivania originale di Palmiro Togliatti). Ma il testo di Amandoti ne spiega lo spirito. Giovanni Lindo Ferretti non ha scritto «amami ancora, fallo dolcemente, un anno, un mese, un'ora, perdutamente» per un amante, per un sogno, per un'utopia. Ma per la nonna appena mancata. I CCCP coerentemente finirono di esistere poco dopo la riunificazione tedesca del 1990.
Ma ora chiudono davvero la loro storia con questa mostra che è «l'ultimo spettacolo dei CCCP». Dopo tutto «il problema è che siamo ancora vivi e non vorremmo fare la nostra caricatura» ha detto Ferretti. Un altro slogan punk, in fondo.
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