Torna Luciano Moggi, con ogni probabilità come consulente del Bologna, che in queste ore lo sta definitivamente sdoganando. Piccolo particolare: torna, ma non se ne era mai andato.
Oddio, l’uscita di scena del 13 maggio 2006 era stata degna di Laurence Olivier dei bei tempi, un gran pezzo drammatico e istrionico che aveva commosso anche i più duri: «Vi chiederei una cortesia - aveva scandito Lucianone, con la voce di circostanza, l’occhio umido, il labbro pendulo e lo sguardo perso, indossando la più triste delle facce a disposizione del suo armadio fisiognomico e il tono più drammatico fra quelli possibili - di non rivolgermi domande: anche perchè non ho più la voglia, la forza».
Davvero, sembrava il canto del cigno. L’addio, scappando nel camerino dietro le quinte, del mattatore più grande, di quello che aveva sempre riempito i teatri. Che, in quel momento, si trovava di fronte l’ispettore della Siae che gli diceva che quel pubblico non era lì per lui, per quello che era stato bollato come un copione truccato. Le parole di Big Luciano sembravano davvero avere una grandezza tragica e drammatica. Personalmente, lo confesso, da romanista che non aveva mai sopportato Moggi e si era visto scippare scudetti meritatissimi almeno dal punto di vista della qualità del gioco, mi ero quasi commosso: «Non ho più l’anima, me l’hanno uccisa».
Ecco, con uno che dice così, con uno così, col potente che cade e viene scaricato da quelli che lo osannavano fino al giorno prima, non si può non simpatizzare. Anche perchè l’anima uccisa aveva pure conseguenze pratiche immediate: «Domani mi dimetterò da direttore generale della Juventus. Da stasera, il mondo del calcio non è più il mio. Ora mi dedicherò a difendermi da tutte le cattiverie che sono state dette e fatte nei miei confronti».
In realtà, da quella sera, il mondo del calcio continuò ad essere quello di Lucianone. In fondo, da uno che è sempre stato abituato a smentire i grandi acquisti bianconeri anche dopo aver già firmato, era quasi scontato.
Meno scontato era il fatto che, da quella sera, Luciano Moggi non solo non lasciò, ma raddoppiò. Prima con le presenze nelle televisioni locali, sempre meno grandi, sempre meno nazionali, sempre meno viste. Le prime volte erano segnalate come eventi e si aspettavano «bombe», più credibili di quelle di mercato lanciate nella prima Repubblica calcistica, Moggi regnante. Poi, un po’ alla volta, l’evento era sempre meno evento, la compagnia di giro faceva fatica anche solo a far finta di stupirsi o di indignarsi e Luciano diventò una di quelle presenze obbligate e un po’ omeopatiche, come la valletta scosciata e tutto il resto del teatrino. Maschera un po’ comica e un po’ tragica, un po’ realmente vittima e un po’ vittima immaginaria e mirata di un sistema.
Poi, lo trasformarono in opinionista di giornale, anche se non risulta che i suoi articoli siano candidati al Pulitzer o al Nobel, che pure ha vinto anche Dario Fo.
Ma, soprattutto, Luciano continuò a dare consigli in silenzio. Ci sono squadre che gli hanno chiesto, anno dopo anno, di fare la formazione. Alcune non hanno avuto nemmeno paura di esporsi. Altre l’hanno pregato di farlo dietro le quinte. E lui non si è mai chiamato indietro, non rinunciando ad interpretare il suo ruolo nemmeno nelle udienze dei processi. Memorabili, al proposito, gli scontri con Franco Baldini, anch’essi genere letterario. Peraltro più interessante di quello proposto dal Moggi scrittore-giornalista-opinionista. Il più epico, ad esempio, racconta di quando Luciano incontrò l’ex manager giallorosso fuori da un’aula di tribunale e lo salutò affettuosamente: «Buongiorno pezzo di merda». E il corollario moggiano riferito da alcuni testimoni («Stai attento a te che finisce male») era quasi superfluo a quel punto. Ma non gli evitò una nuova denuncia da parte di Baldini.
Ormai, si è perso anche il numero delle denunce a carico dell’ex leader, che colleziona processi (che non vuol dire condanne) con la stessa capacità, velocità e voracità con cui collezionava campioni. Basta ricordare come, nella finale dei mondiali 2006, ci fossero in campo, da una parte e dall’altra, tutti i ragazzi juventini di Moggi. O quasi, mancavano Ibra e Nedved, mica due a caso, perchè non potevano giocare quattro nazionali nella stessa finale.
In queste due considerazioni c’è tutto quello che pensano a
Bologna. Da un lato, quelli che contestano rumorosamente, in nome della purezza. Dall’altro, quelli che sperano silenziosamente, in nome di un campionato che preveda qualcosa di meglio della salvezza all’ultima giornata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.