il ritratto

da Milano

Indossava ancora il grembiule col fiocco e aveva le dita sporche d’inchiostro o di burro d’arachidi, ma già aveva capito tutto di se stesso: «Facevo le cose solo se potevo guadagnare denaro». Se a questa attitudine peculiare aggiungete una sorta di sindrome da acquisto compulsivo, ecco che avrete il ritratto di Kenneth Lewis, il banchiere più potente del mondo, l’uomo che ha modellato Bank of America a sua immagine e somiglianza.
Mark Twain diceva che i banchieri sono quelli che ti prestano l’ombrello quando c’è il sole e lo rivogliono appena comincia a piovere. Più che prestare, Lewis preferisce prendere. Senza fare prigionieri. Ha un linguaggio diretto, quasi brutale, poco incline al fair play, ma perfetto per i titoli di giornale. Il Mourinho del credito, lo Special One del merger&acquisition. All’inizio del 2007, quando l’acqua alta dei subprime iniziava a risalire pericolosamente verso la gola di qualche rivale, disse senza esitare: «Dobbiamo prenderli alla giugulare». Enrico Cuccia, dominus di Mediobanca per una vita, si sarebbe comportato allo stesso modo, usando però altre parole.
Lo stile fa l’uomo? Non completamente. Così come una faccia non sempre rivela un carattere. Il sessantunenne Lewis ha l’aria rassicurante di un allenatore di baseball della Junior League, ma un istinto naturale che lo porta a colpire quando è il momento di colpire. E a non dimenticare. Non ha scordato quanto fosse snobbata da Wall Street, fino a qualche anno fa, Bank of America. La sua banca. Guardata dalla business community con un cannocchiale rovesciato, a rimarcarne la distanza dai circuiti finanziari che contano a causa di quella sede a Charlotte, North Carolina. Ma all’uomo di Meridian, borgo del Mississippi, è meglio non dare del provincialotto: se la legherà al dito.
Kenneth sa essere riconoscente (l’anno scorso ha donato 2,5 milioni di dollari alla sua università), quanto vendicativo. E di rivincite, se n’è prese. Voleva far denaro? Fatto: in base ai calcoli di Business Week, il suo ingaggio - tra stipendio, stock option e bonus vari - sfiora i 25 milioni di dollari l’anno. Niente male per l’ex ragazzo cresciuto raggranellando i primi verdoni con la vendita di cartoline natalizie, distribuendo giornali e facendo il garzone del benzinaio prima del diploma di laurea alla Georgia State University. Voleva contare: missione compiuta. Lui, del resto, ha solo elevato all’ennesima potenza la naturale vocazione di Bank of America a espandersi, soprattutto negli States (il 90% delle entrate arriva da lì), attraverso la politica delle acquisizioni. Ed è stato anche paziente. Sette anni fa, diceva che le banche commerciali avrebbero piantato le loro bandiere nel cuore delle merchant bank. Allora, sembrava una spacconata: il tempo gli ha dato ragione.
Evitando il fango dei mutui, Lewis è diventato l’uomo col portafogli sempre gonfio. E aperto. Prese le redini della banca nel 2001, nel 2004 ha cominciato a spendere comprando per 47 miliardi FleetBoston Financial. Da allora, non si è più fermato. Mbna (35 miliardi) nel 2005; The United States Trust Company (3,3 miliardi) nel 2006; Abn Amro North America e Lasalle (21 miliardi) nel 2007; fino al recente soccorso della moribonda Countrywide Financial (4,1 miliardi) e alla fresca conquista di Merrill Lynch (50 miliardi in titoli azionari). Mentre gli altri scappano, falliscono o chiedono aiuto, lui compra. Un fiume di denaro speso senza mai tradire l’idea legata alla centralità dei clienti (sono 5.700 gli sportelli del gruppo) e il concetto della banca «molto più conveniente e meno costosa».


Adesso c’è chi dice che Merrill Lynch si rivelerà un corpo estraneo per Bank of America, che questa volta Lewis non ce la farà. Insomma, lo aspettano al varco. Di sicuro, l’old boy del Mississippi farà di tutto per deluderli.

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