Rivoluzionare la pittura e il mondo dello spirito Da dentro un convento

Rivoluzionare la pittura e il mondo dello spirito Da dentro un convento

a rivoluzione è contagiosa. A Firenze, dietro Masaccio, Donatello e Paolo Uccello, si muovono giovani artisti, pieni di entusiasmo e di anelito verso forme nuove. Il più determinato e metodico, benché apparentemente legato ai temi devozionali e l’iconografia elaborata nel corso del secolo precedente sotto l’impulso esemplare e normativo della lezione giottesca, capillarmente diffusa in tavole e affreschi, è Beato Angelico, frate del convento di San Domenico a Fiesole.
Non meno di Masaccio filosofo, l’Angelico è piuttosto un teoretico, e il suo pensiero esclude ogni incertezza sulla presenza di Dio nella vita quotidiana, ogni disperazione o solitudine così propri dell’umanità masaccesca, esprimendosi in una pittura che è una ininterrotta lode o preghiera a Dio, in una illuminazione dell’umano già splendente di una luce soprannaturale nei colori più vivi e nitidi che mai pittore abbia usato. Il Beato propriamente esprime il pensiero di Dio attraverso quella che è stata definita «pittura di luce» e che, attraverso Domenico Veneziano, irradierà placata, nell’opera di Piero della Francesca. Ma Piero, non diversamente da Spinoza, riconosce e illumina un Dio immanente, il Beato celebra un Dio trascendente.
L’intera sua opera è pervasa di santità. Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, fu chiamato Beato Angelico o Fra Angelico. La beatitudine della sua condizione umana fu formalmente riconosciuta (già lo era nella sostanza della sua opera) solo in tempi recenti (nel 1984) da Giovanni Paolo II che lo proclamò beato. Ma beati sono il suo spirito e la sua pittura, che traduce la luce in forme nuove e in una irradiazione mistica di luce, pensieri antichi. I suoi esordi coincidono con quelli di Masaccio agli inizi del terzo decennio. Lo si vede bene nella Pala di Fiesole, con la Madonna, il Bambino e angeli, naturale evoluzione della Madonna di Regello di Masaccio, di poco precedente con le prime evidenti aperture prospettiche. Il testimone che gli era stato lasciato da Lorenzo Monaco, fiorisce in un nuovo giardino mentre l’elaborazione pittorica risente dell’esperienza luminosa del miniatore, minuzioso nei dettagli e abituato ai colori preziosi come il blu di lapislazzuli e l’oro in foglia. Lo ritroviamo nell’Annunciazione sotto un ampio loggiato, al museo del Prado, con l’esatta calibratura delle due immagini sacre entro la geometrica architettura calata nel giardino della cacciata. Le ricerche della pittura nuova ben si rivelano nella predella.
Parallelamente il Beato, nei pannelli di grande formato, cresce verso sempre più luminosi traguardi nelle pale per gli altari per la chiesa di San Domenico a Fiesole, tra le quali l’Incoronazione della Vergine, ora al Louvre, dove la luce costruisce le forme. L’Angelico ci ritaglia una fetta di Paradiso come un meraviglioso palazzo, con il trono dell’incoronazione sopra una piramide di gradini di marmi variegati e preziosi: l’atmosfera è quella di una festa mistica che è il teofanico equivalente dell’Arca russa del regista Aleksandr Sokurov. Anche in questo travolgente dipinto le conquiste prospettiche sono sviluppate nella predella. L’impresa di Beato Angelico a San Domenico a Fiesole dura circa dieci anni, dal 1429 al 1440. Ma, negli stessi anni, nel 1433, il Beato concepisce il tabernacolo dell’Arte dei Linaioli; mentre a partire dal 1438 inizia a lavorare per il convento di San Marco a Firenze, approssimandosi il concilio di Firenze del 1439.
La grande impresa è concepita d’intesa con Michelozzo che, su incarico di Cosimo dei Medici progetta il convento di San marco, prevedendo ampie pareti per la decorazione a fresco del Beato. Dalla chiesa al chiostro, dalla sala capitolare, ai corridoi, alle celle, con una vastità di pareti dipinte senza precedenti. Il programma prevedeva un affresco per ogni cella dei frati con episodi del Nuovo testamento. La mano dell’Angelico è prevalente al primo piano: la Pala di San Marco per l’Altare Maggiore della chiesa, la Crocifissione per la sala capitolare, l’Annunciazione, la Madonna della ombre, la Crocifissione di San Domenico nei corridoi. Al piano superiore, nei quarantatre affreschi delle celle e nei corridoi, lavorano gli allievi fra i quali Benozzo Gozzoli. Semplicità, misticismo, ordine delle idee caratterizzano questa opera di devozione trasfigurata in poesia attraverso una purissima sintesi formale.
Il percorso da Masaccio all’Angelico è un passaggio dal Realismo all’Astrazione. Grande e metodico artista, insaziabile nella ricerca, il Beato prosegue la sua opera negli anni successivi, a Roma (nel 1445-1449) e a Orvieto (1447). Il papa Eugenio IV lo vuole in Vaticano, dove resta il suo capolavoro dipinto per commissione del successivo papa, Niccolò V: la Cappella Niccolina, dove la fede conventuale si trasforma in una solennità liturgica, rituale, che apre la strada a Piero della Francesca, rivelando una straordinaria vocazione architettonica. Nel 1450 l’Angelico ritorna in toscana con il rango di priore di San Domenico a Fiesole. Di questo tempo è il preziosissimo Armadio degli argenti, una serie di tavolette dipinte e il doppio sportello di un armadio nella basilica della Santissima Annunziata.

Nel piccolo formato domina l’idea dello spazio non diversamente da come Beato Angelico aveva mostrato nelle grandi superfici ad affresco. L’ultimo Angelico ritorna alla dimensione del miniatore di codici da cui era partito.

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