Che tristezza. Partire adolescente per l'America, lasciare il college nel Wisconsin per fare la rivoluzione a tempo pieno, entrare in una banda armata, dare l'assalto ai furgoni blindati, finire in galera, restarci sedici anni senza confessare né pentirsi né inguaiare nessuno: e almeno quest'ultimo passaggio, comunque lo si guardi, ha una sua inossidabile grandezza. E finire a Roma a fare la donna d'ordine al Pigneto, chiedendo l'aiuto degli odiati sbirri per difendere la proprietà privata e tenere lontani gli immigrati. Ecco: cercare oggi le tracce di Silvia Baraldini, che vent'anni fa era una tale icona della sinistra da salotto da venire immortalata in una canzone di Guccini e poi da essere accolta a Ciampino con onori da capo di Stato, costringe a fare i conti con la inesorabile potenza degli anni e dell'interesse, che trasformano in bottegaio occhiuto chi voleva cambiare il mondo nel nome del comunismo.
Via del Pigneto è un posto che merita di essere visitato. Lavori interminabili lo stanno trasformando in una isola pedonale che verrà (forse) inaugurata in aprile. È un luogo di movida: locali uno dopo l'altro. Ma è una movida un po' particolare, perché si svolge sotto gli occhi dei carabinieri del battaglione mobile, in basco e manganello, presenza un po' rassicurante e un po' inquietante, invocata e ottenuta dai gestori dei locali per garantire la sicurezza del loro quartiere e dei loro affari. Chi sia il nemico, chi mette a rischio il Pigneto, non è difficile capirlo. Sono loro, gli africani. Che già alle sei di un pomeriggio feriale stanno in blocchi compatti agli angoli delle strade. Si proteggono a vicenda ma anche litigano, fanno a botte, si lanciano bottiglie di birra, preparano bustine. Contro di loro, i commercianti del Pigneto hanno chiesto che lo Stato si facesse sentire. «Perché appena scende il buio - racconta il ferramenta dell'angolo - qua se bevono l'imbevibbile e se fumano l'infumabbile ».
I commercianti del Pigneto hanno un leader. Si chiama Dario Santilli, ed è il padrone dell'Infernotto, ristorante e wine bar, al 31 della via. È lui che da sempre si fa portavoce delle istanze di sicurezza della categoria, ed è lui che mette direttamente in atto iniziative che hanno fatto discutere: come quando mise a disposizione dei clienti del suo locale delle catene con lucchetto per assicurare la borsa alla sedia, ed evitare scippi volanti. Spiegò Santilli: «Quando viene scippata una ragazza o c'è una rissa davanti ai nostri locali non possiamo voltarci dall'altra parte, interveniamo. Ma non è più possibile andare avanti così: la rabbia della gente e di molti commercianti rischia di esplodere in forme di giustizia fai da te». Un uppercut , mediaticamente parlando, roba tra Gentilini e Charles Bronson, e magari in odore di razzismo se l'avesse pensato qualcun altro. Ma Santilli è un compagno. E ancora più compagna è la sua donna: lei, la Baraldini. Che dell'oste del Pigneto è diventata la compagna poco dopo il ritorno a Roma, quando era ancora in carcere a Rebibbia. Su una parete dell'Infernotto sta la vignetta di un artista evidentemente amante dei calembour: «Cara Silvia per il 2001 ti aspettiamo tutti al bar-aldini.. e che brindisi e che Guevara».
Profezia azzeccata: proprio nel 2001 la Baraldini, che era stata estradata appena due anni prima dall'America, con solenne promessa italiana di farle scontare fino in fondo e senza sconti fino al 2008 la condanna per le imprese terroristiche delle bande «19 Maggio» e «La Famiglia», viene scarcerata per motivi di salute. Rimane a casa agli arresti domiciliari pochi anni. Poi nel 2006 arriva l'indulto: che in teoria non si può applicare alle condanne ricevute all'estero, ma per la Baraldini la Cassazione fa un'eccezione e le sconta la pena, sollevando le ire di numerosi detenuti nelle sue stesse condizioni che invece l'indulto se lo vedono negare. D'altronde che si trattasse di una detenuta un po' particolare lo si era intuito già il giorno - era il 24 agosto 1999 - quando l'aereo che riportava la Baraldini in Italia dall'America venne accolto a Ciampino da un cerimoniale che neanche Kissinger. Plotoni di giornalisti, simpatizzanti, e incredibilmente persino il ministro della Giustizia, il rifondarolo Oliviero Diliberto, che si presenta ad accoglierla e la carica sull'auto governativa.
Si dirà: sono passati un fiotto d'anni, e i capelli bianchi (a volte) portano consiglio; e se alla Baraldini che voleva portare la rivoluzione in Arkansas ed Illinois si è sostituita oggi una signora di comune buon senso, che c'è di male? Il problema è che da qualche parte i vecchi ideali, nell'animo di questa signora ormai canuta, convivono. Come si è visto chiaramente qualche anno fa, quando scese a Cosenza a manifestare per la assoluzione di campioni dell'antagonismo come Francesco Caruso, Luca Casarini e altri leader della rete «Sud Ribelle», incriminati per le violenze del G8. La Baraldini era in prima fila sotto lo striscione «Siamo sempre sovversivi», mentre a poca distanza da lei Oreste Scalzone, ex leader di Autonomia operaia, raccoglieva le firme per un'altra icona della gauche caviar , la brigatista Marina Petrella, organizzatrice dell'assassinio a sangue freddo del commissario Sebastiano Vinci, e ciò nonostante riverita e ospitata da Sarkozy e sua moglie Carlà.
È come, insomma, se ci trovassimo davanti a un caso classico di divisione dell'io, e se dentro la sessantasettenne signora dagli occhi azzurri continuassero a convivere due donne, quella che dà l'assalto alla cassa del capitalismo e la piccoloborghese che si preoccupa dell'incasso di giornata.
C'è la Baraldini nostalgica degli anni americani, quella che non rinnega nulla della lotta armata, e anzi in un convegno a Livorno spiega agli studenti che «manca in questo momento quello che avevamo noi, lo spirito di contestazione», e amen se lo «spirito di contestazione» portò il suo gruppo ad ammazzare due poliziotti e un metronotte; e c'è anche l'ostessa del Pigneto, compagna di vita e di lavoro del Santilli che invoca le ronde che turbano gli affari...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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