Elsa Airoldi
Adesso che la sovrintendenza ha promosso la grande avventura culturale Daniel Baremboim, e con lei l'asse Milano-Berlino, ci sentiamo più importanti. Ma anche un po' intimoriti. I propositi, comunque ci si sia arrivati, sono persino sociali, addirittura filosofici. E poi c'è l'Europa, il mondo che chiama. E i nostri? Sentiamo che prima o poi, portato da una corrente sotterranea solida e non eclatante, ne salterà fuori uno. Intanto loro vanno avanti con i loro progetti.
Il primo che capita sul podio della Scala dopo il clamoroso annuncio è Roberto Abbado. Uno che ha sempre dichiarato il suo amore per il teatro e la speranza di frequentarlo il più possibile. Da «esterno». Roberto torna e ritorna. Concerti per Scala e Filarmonica, per cui dirige stasera, martedì e mercoledì. La struggente Lucia che precipita cullante verso la catarsi finale che torna a luglio. Un'opera la prossima stagione. Altre trame già imbastite. Intanto, prima di una tournée sudamericana con l'Orchestra di Fiesole, domani, martedì e mercoledì prossimo è sua la terna che chiude la stagione sinfonica del Piermarini. Roberto continua a stupire. Per la singolarità delle letture. Per l'originalità dei programmi. Che questa volta batte tutti. Includendo uno Schumann che non si ascolta mai e una collaborazione, la prima, con Moni Ovadia. Operazione che fa pensare, per parallelismo pur in opposto contesto, a quella di Abbado (Mohammed Abbad?) zio con Benigni. Il filo conduttore è il mondo ebraico: Schumann, Requiem für Mignon op 98b; Schönberg, Un sopravvissuto di Varsavia op.46; Mahler, Sinfonia n.1 «Titan». La rarità più rara è certo Mignon, per soli coro e orchestra. Forse lo Schumann più riuscito del genere. «È un lavoro sperimentale suggerito dal Wilhelm Meister di Göthe. Via la drammaticità di Verdi e la trepidazione di Mozart. Qui c'è intimità, elegia, letteratura, esaltazione del potere catartico dell'arte: vita sopra le stelle, serto di immortalità...». In organico quattro voci bianche che piangono sul feretro di Mignon. Mentre il coro e la voce paterna di un baritono, Markus Werba, le consolano. Il testo del Sopravissuto, l'agghiacciante testimonianza di un ebreo polacco, è steso dallo stesso Schönberg (periodo americano) in inglese. Ma con la possibilità di utilizzare altre lingue. Abbado junior ha comunque l'imprimatur di Nuria. Così Ovadia parla italiano.
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