Roma, commossa, saluta gli eroi di Nassirya

Alessia Marani

Tricolori che sventolano, le corone delle istituzioni appoggiate alla facciata tra i due ingressi laterali della basilica, militari dell’Arma, dell’Esercito, ma anche dell’Aeronautica e della Marina Militare schierati ai lati e pronti a rinnovare il picchetto d’onore all’uscita delle bare. In centinaia aspettano fuori dal sagrato, in piazza della Repubblica, la fine della cerimonia funebre per i tre eroi di Nassirya, il maggiore Nicola Ciardiello, classe 1972, parà della Folgore originario di Pisa, e i marescialli capo dei carabinieri, Franco Lattanzio, 38 anni, di Pacentro vicino l’Aquila, e Carlo De Trizio, 37 anni, di Bisceglie (Bari), ma in servizio nella Capitale per ben sedici anni, gli ultimi dei quali trascorsi al nucleo radiomobile di stanza al Torrino. «Strappati alla carne», come dirà nell’omelia monsignor Angelo Bagnasco, l’ordinario militare d’Italia che ha officiato la funzione ieri mattina a Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, nel «vile attentato» di giovedì scorso in Irak. «Vite spente in un lampo, nel totale disprezzo della vita», aggiunge. Poi incalza: «Il loro sacrificio non sarà vano. Loro che erano così puri, come li ricordano i familiari. Che sono morti in missione di pace. Eroi veri perché fieri e consapevoli nella propria coscienza e davanti a Dio. I loro colleghi, ora, sono profondamente colpiti, ma non avviliti. C’è un grande umanesimo che brilla nei nostri militari all’estero».
Piangono i cari di Nicola, Franco e Carlo. I loro commilitoni li hanno portati in spalla, nei feretri, commossi. «Franco» urla disperata una delle sorelle del maresciallo specialista nei rilievi della scientifica in servizio a Chieti, orfano di padre e madre morti sette anni fa in un incidente stradale. Nella navata lo strazio dei familiari, il pianto mai interrotto degli amici, la commozione sommessa dei politici e delle autorità della Difesa e degli Interni. «Nicola, Carlo e Franco - va avanti l’omelia - sono morti per costruire una vita migliore, mentre erano in missione di pace». Monsignor Bagnasco cita il Vangelo secondo Matteo: «Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio». Prima aveva letto anche il telegramma di Papa Ratzinger, inviato per mano del suo segretario Angelo Sodano. «È un grave lutto per le forze armate italiane e romene - scrive il Pontefice -, per queste giovani vittime spezzate. Esprimo ferma riprovazione all’atto di violenza (...). Mando la speciale benedizione apostolica per i feriti e i civili e i militari ancora impegnati all’estero».
In prima fila, schierate, ci sono le massime autorità dello Stato, i rappresentanti della Difesa e degli Interni. Berlusconi, quando arriva, stringe la mano a Prodi. Il neopresidente della Camera Fausto Bertinotti risponde alle «accuse» del vecchio picconatore, presidente emerito, Francesco Cossiga che, seguendo la cerimonia dalla Tv, gli manda a dire: «Non è un funerale di Stato, ma un’ipocrisia di Stato. Bertinotti non doveva andare perché è suo il partito di Caruso e Ferrando, i riferimenti dei “bravi ragazzi” che gridano nelle piazze “Dieci, cento, mille Nassirya”». «Il mio ruolo è di rappresentanza dell’intera assemblea», la replica.
Fuori, il silenzio è interrotto dal sorvolare degli elicotteri. Piazza della Repubblica, isolata dal traffico, è solo per i tre di Nassirya. «Siamo moglie e mamme - dicono Rita e Maurizia, abruzzesi -, la morte di questi giovani ci addolora e siamo qui per dimostrare il nostro affetto ai familiari, per ribadire la nostra stima e il nostro orgoglio di sapere che erano là anche per noi».
Gianni De Trizio, fratello maggiore di Carlo, uscendo dalla chiesa ringrazia: «Ringrazio gli amici, i conoscenti, il nostro Paese per tutto il bene che ci stanno dimostrando. Ringrazio gli italiani che con il loro affetto condivididono, di fatto, gli ideali e le convinzioni di Carlo, Nicola e Franco». Gina, insegnante, 30 anni, è la nipote di Lattanzio, vive a Detroit con la famiglia.

«Mio zio mi aveva scritto un’e-mail pochi giorni prima della morte, ricordando i suoi genitori scomparsi anni fa in un incidente d’auto, dicendomi: “Ci vedremo presto”. Così non è stato». Quella e-mail, stampata, Gina l’ha lasciata nella bara dello zio. L’ultimo saluto.

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