Roma - Sembrano fatte con lo stampino le strade di Tor Carbone, lembi stretti d’asfalto che sboccano sull’Ardeatina e l’Appia Nuova. Ospitano villette discrete, condomini in miniatura con qualche sparuto negozio al piano terra e a lato, puntuale, una rampa che scende verso il buio, verso l’ingresso di un garage.
Sono oasi di una pace violata da tempo, da prima dell’ombra degli stupri, della violenza seriale che d’un tratto, di prepotenza, le ha scaraventate sotto i riflettori.
Angoli di periferia dove la rabbia è sovrana e la parola «ronda», ieri, era un luogo comune, una cantilena. «Ci siamo organizzati, come quando volevano spostare qui i rom di Tor Pagnotta: gireremo a gruppi di quattro, muniti di cellulare», sintetizza un residente di via Sommer, luogo dell’ultimo episodio che ha avuto come protagonista il maniaco con il passamontagna. «Dobbiamo difenderci da soli», sibila Paolo, 25 anni, mentre aspetta il 218, uno dei pochi autobus che fa la spola fino ai margini del raccordo. È proprio la collocazione del quartiere un elemento finito sotto la lente degli investigatori: per assicurarsi una rapida via di fuga l’aggressore sceglierebbe strade sì defilate, ma sempre poco distanti dal Gra. Come la Bufalotta d’altronde, dove a inizio giugno una giornalista era caduta nella sua trappola.
Memoria storica di Tor Carbone è Giorgio Tamborra, già consigliere provinciale: «Gli stupri - racconta - sono la punta dell’iceberg, conseguenze di un clima di impunità generalizzata. In passato abbiamo denunciato casi di motorini portati via dai cortili, di nomadi che si introducevano negli appartamenti. Ora questo. Penso che le ronde siano la risposta giusta». Con Tamborra sono d’accordo in tanti, specie le donne che, per un motivo o per un altro, la sera devono rincasare tardi. E si stanno munendo di spray al peperoncino, sperando di non imbattersi nello stupratore. «O magari in qualcuno che lo imita, perché c’è questo pericolo», fa notare Alessandra Ippoliti, pure lei con un brutto spavento da evocare a occhi bassi: «Una sera mi hanno seguita fin sotto casa. Erano in due, uomini dell’est, credo ubriachi. Sono riuscita a entrare nel portone in tempo».
Da Tor Carbone alla procura: è qui che oggi è in programma l’interrogatorio della donna violentata in aprile in un garage dell’Ardeatina. I pm sperano di acquisire elementi utili per identificare il maniaco, dopo che la testimonianza della poliziotta che lo ha messo in fuga urlando si è dimostrata un buco nell’acqua. Stesso discorso vale per i video di sorveglianza: non sarebbero due ma uno soltanto, portato alla polizia da una donna che a maggio denunciò di essere stata vittima di uno stupro, ancora a Tor Carbone. Quella ripresa conterrebbe l’immagine di un uomo con un passamontagna, ma troppo sgranata per identificarlo. E ieri il questore Giuseppe Caruso ha smentito le ipotesi apparse su alcuni giornali, secondo le quali l’uomo si sposterebbe a bordo di una Smart. «Sono sciocchezze», ha detto, anche perché non si esclude che possa utilizzare uno scooter. Mentre l’ex senatrice Maria Burani Procaccini ha chiesto al sindaco Alemanno di consegnare un premio di 50mila euro, una taglia, «al cittadino che consenta l’identificazione del maniaco violentatore».
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