Roma vuole i tassinari gentleman

«Aoo, ce danno er dressecòde». La comunicazione preoccupata riguarda i tassisti, ridetti tassinari, della capitale. Il Comune di Roma, su mozione del consigliere Maurizio Berruti, sta per approvare una norma che riporta al passato. In breve, i conducenti di auto pubbliche dovranno vestirsi con abiti consoni alla logica della decenza (così disse il Berruti), fine di canotte e ciabatte, si avanzino pantaloni di cotone, maglietta o camiciola e, a finire, scarpe che siano tali. C’erano una volta quelli con il camice nero, a bottoni ma sbottonato, e cappello con visiera. C’era una volta il tassametro a mano, veniva caricato come la sveglia sul comò e capivi che fine avresti fatto. Ma questa è nostalgia, qui, invece trattasi di recupero di una dignità anche estetica che è andata a farsi benedire non soltanto sui taxi. Basta dare un’occhiata dovunque e comunque, roba da sbarco, popolo sciatto, trascinante e trascinato, infradito in dosi industriali, pantaloni alla pescatora anche sotto il monte Bianco o per funghi, bermuda a prescindere in chiesa o in spiaggia, canottiere di ogni cilindrata, colore, odore, trasparenza. In questo circo pure i dipendenti del Comune, l’autopubblica è tale, si sono allineati, non in tutti i casi, come sempre, ma ne bastano un paio per rovinare la categoria, come sempre di nuovo. La canicola suggerisce lo spogliarello ma l’aria condizionata, ormai presente in tutte le vetture, agevola il new look.
Del resto anche i tassisti cinesi si erano dovuti adeguare alle regole imposte dal Partito in occasione delle Olimpiadi, niente più abiti squallidi o lerci, niente più zoccoli e affini ma pantalone blu scuro in cotone, camicia gialla, che originali, eventuale cravatta e scarpa in tono. Sarà capitato comunque di salire a bordo di un taxi e di ascoltare, oltre alla voce della radio della centrale o di una radiocronaca di calcio, anche il lezzo dell’olio riciclato delle patatine fritte, del paninazzo con cipolla. Accade in molte parti del mondo, a New York quasi ad ogni strada, a Parigi un po’ meno anche perché i tassisti francesi viaggiano con cane o altro arnese da difesa, a fianco del posto di guida e consentono al massimo due o tre viaggiatori a bordo, nonostante l’invito del sindaco ad allinearsi alle abitudini e norme europee.
I tassisti romani però potrebbero prendere spunto da quello che accadde sei anni orsono a un loro collega di Seattle, tale David Groh, il quale per tenere allegri i clienti, dopo la tragedia dell’11 settembre, decise di addobbarsi come Elvis Presley, capello cotonatissimo, abiti clamorosi, stivaloni e musica di rito. Un ispettore comunale di Seattle multò mister Groh, 60 dollari la sanzione ma la ribellione della categoria al grido, anzi al clacson di «Free Elvis», portò il consiglio comunale ad annullare la condanna e a permettere ai tassisti di vestirsi secondo estro, evitando, tuttavia, maschere o altri addobbi da Halloween e così a bordo dei taxi giallorossi (guarda un po’ le combinazioni) di Seattle potete incontrare cloni di artisti vari, da Elvis a Richard Gere, da Bronson al recente fantasma di Jackson.
Potrebbe accadere lo stesso a Roma, che è Cinecittà in tutti i sensi. Alberto Sordi ci fece un film ma la cinematografia nostrana ha un lungo elenco di personaggi e interpreti in materia, alcuni un po’ trasandati, altri di fascino, come il Mastroianni che aveva perso la testa per la popputissima Loren ma si fece da lei rubare l’auto (Peccato che sia una canaglia 1954) e così commentò il misfatto, parlando a se stesso: «Imbecille, stupido, cretino, somaro, gnocco, fesso, fesso, imbecille, beccamorto». Tutto ciò nonostante il Marcello vestisse con camice e portasse il cappello con visiera in testa. La mozione del consigliere Berruti (ma come si dovranno comportare le tassiste?) cerca di dare una ventata di freschezza alle famose autopubbliche, senza ricorrere all’uso, ormai inflazionato e datato, dell’arbre magique. Si incomincia dal conducente, al quale non si dovrebbe parlare, se non per indicare l’indirizzo o chiedere un’informazione.

Il resto sarà vita, anzi corsa, lenta ma profumata, osservando dal finestrino il circo itinerante. Un altro Marcello, nel senso di Marchesi, si domandava: «Dio tassista è una bestemmia?». In caso di apostrofo non direi.

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