Cronaca locale

Sos piste ciclabili, a Roma si pedala tra immondizia e accampamenti rom

La Raggi annuncia nuove ciclovie, ma quelle già esistenti sono da bollino rosso tra buche, degrado e accampamenti rom

Sos piste ciclabili, a Roma si pedala tra immondizia e accampamenti rom

Sebbene la Raggi continui a tracciare ciclovie per rilanciare la mobilità romana, la Capitale rimane una città da bollino rosso per gli amanti delle pedalate (guarda il video). Ad inquadrare il problema ci aveva pensato qualche tempo fa l’associazione Salvaciclisti, che alla voce interventi per lo sviluppo della mobilità in bicicletta” aveva annotato un impietoso “insufficienti”. Era gennaio e, all’epoca, su 250 km di ciclabili già esistenti, le nuove opere ammontavano ad appena a 5,6 chilometri.

Oggi che l’amministrazione si è decisa ad annunciare l’apertura di nuovi cantieri, il giudizio dei ciclisti romani rimane lapidario: Roma ha bisogno di nuove cicilovie però vanno fatte secondo un criterio”. Il riferimento è allo “spezzatino ciclabile” che si è venuto a creare in città. “Stanno realizzando delle tratte piccolissime – ci spiega Luca Laurenti, del blog Tutti per Roma – che non offrono un’alternativa reale a chi si muove in bicicletta, perché a questo punto non investire le risorse per sistemare le poche piste lunghe che ci sono?”. A partire da quella del Tevere, che collega da nord a sud la Capitale. Un itinerario che corre per 30 km lungo le sponde del fiume ed unisce Saxa Rubra a Riva di Pian Due Torri passando per il Porto Fluviale.

È qui che scenari bucolici e bellezze monumentali del lungo tragitto sono intervallati da scorci insicuri e degradati. All’altezza della Magliana, ad esempio, il percorso è minato da una costellazione di discariche abusive. Cumuli di indumenti, materiali edili, vecchi elettrodomestici e cianfrusaglie segnano le tappe dell’itinerario con vista sul palazzo della civiltà italiana. Quale civiltà? Viene da chiedersi. Sopra il ponte qualcuno ha appiccato un rogo. L’odore di bruciato è ancora fortissimo e carico della diossina sprigionata dalle carcasse dei frigoriferi semicarbonizzati. Più in là degli pneumatici impilati, una vasca da bagno rovesciata e componenti elettronici giacciono abbandonati in ordine sparso.

Scendendo lungo gli argini ancora sporcizia e degrado. Proprio sotto ai pilastri del ponte ci sono una maxi discarica a cielo aperto e un insediamento rom. La prima si estende ben al di là di quello che si può percepire ad occhio nudo. “È qui almeno dal 2015 ed è ancora più grande di come appare”, spiega un habitué della pista mentre indica il groviglio di rovi che hanno in parte ricoperto le dune di sporcizia. Non è mai stata bonificata e negli anni è diventata una specie di mecca per i disperati che vivono di rovistaggio. “Capita spesso di vedere delle persone che si immergono nella spazzatura e la setacciano per ricavarne qualcosa, pezzi di ricambio, indumenti, tavole di legno”, racconta Laurenti, che passa tutti i giorni da qui per andare a lavoro. Forse sono proprio gli stessi inquilini della baraccopoli che, a giudicare dal continuo viavai di nomadi equipaggiati di buste e carrelli, è solo una delle tante della zona.

Lasciandosi la periferia sud alle spalle ed arrivando in zona Marconi, a due passi da dove la Raggi ha realizzato una spiaggetta attrezzata, la situazione rimane disastrosa. Proprio per ridare dignità all’area, in vista dell’inaugurazione del lido capitolino, gli accampamenti abusivi che c’erano sono stati smantellati, eppure in tanti mesi nessuno si è premurato di rimuovere ciò che resta della catapecchie demolite. “È comunque una zona insicura – ci spiega un ciclista – perché la sera manca l’illuminazione e c’è un continuo passaggio di rom e clochard”. “Non è una bella cartolina della Capitale – sentenzia un altro – indicando gli ammassi di rifiuti che dagli argini si proiettano nel fiume”. Senza contare che anche la manutenzione ordinaria langue. Le versioni che raccogliamo in giro sono unanimi. Lo sfalcio dell’erba? “Assente e per ottenere la rimozione di un tronco d’albero che si era schiantato sulla pista ci sono voluti dei mesi”. Le condizioni del percorso? “Accidentate, siamo costretti a fare lo slalom tra fango e buche”.

Ma l’immagine plastica del rapporto travagliato tra l’amministrazione capitolina e le due ruote è ben racchiuso nel cimitero di biciclette gialle Obike.

Quello che riamane della disastrosa esperienza del bike-sharing è un ammasso di catorci depredati di ruote e sellino che ancora affiorano dal fango degli argini all’altezza di ponte dell’Industria.

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